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Misure per la crescita

Tempo spredato

Servono subito tagli alla spesa corrente, dismissioni di patrimonio (mobiliare e immobiliare) e sgravi fiscali poderosi.

di Davide Giacalone - 21 giugno 2013

E’ bastato che dagli Stati Uniti si sia messa in dubbio la durata eterna della loro politica monetaria espansiva che le Borse abbiano accusato il colpo e la sorte degli stati europei abbia ripreso a divaricarsi. La crescita degli spread non può certo essere letta, come da noi si è troppo a lungo fatto, come un giudizio sulle politiche dei singoli governi. Per due ragioni: a. quelle di ieri erano le stesse di quelle di sei mesi prima, quando gli spread scendevano; b. la divaricazione è avvenuta ovunque, facendo crescere il debito di tutti rispetto al costo di quello tedesco. Quel dato, dunque, dice una sola cosa: la bufera non è finita e non esistono ripari sicuro. Tutto può, in ogni momento, essere rimesso in discussione.

Noi italiani ci troviamo in questa condizione: fra il 1995 e il 2011 abbiamo accumulato avanzi primari pari al doppio di quelli tedeschi, siamo stati virtuosissimi, salvo restare incapaci di fare riforme strutturali; fra il 2011 e oggi, pur restando in avanzo primario, siamo precipitati nella recessione e vediamo crescere il nostro debito pubblico più di quello altrui. Quindi non solo non abbiamo fatto riforme, a parte quella delle pensioni, ma abbiamo applicato politiche sbagliate.

Mentre al G8 si fa finta di combattere contro i paradisi fiscali (presenti nei territori e funzionali all’economia di ciascuno dei combattenti), noi viviamo un autentico e materialissimo inferno fiscale. La Corte dei conti calcola che depurando l’economia dalla sua parte sommersa la pressione reale dell’erario è giunta al 53%. Trattandosi di una media è la Corte stessa a certificare che per alcuni settori produttivi, per attività professionali e commerciali, siamo già al 60%. Non impressionatevi, perché credo che sia una stima fin troppo prudenziale. Ma neanche dovete rassegnarvi, perché con questo andazzo finiremo con l’uccidere le vacche da cui ancora si munge latte.

Il tessuto produttivo italiano è forte. La rete di protezione intessuta dalla famiglie italiane è robusta. Ma tutto questo non può resistere al prolungarsi di una condizione insostenibile. Il governo ha sbandierato un decreto, chiamandolo del “fare”, ma a parte che ancora non c’è, in quello non si trova un solo comma che comporti un’immediata riduzione della spesa e del fisco. Nulla. In compenso è in corso un animato, esasperante e stucchevole dibattito su un solo punto d’Iva. Non da tagliare, ma al più da non aumentare. Faccio osservare due cose: a. se anche questa epocale questione sarà risolta, come promettono Pd e Pdl, saremmo esattamente dove ci troviamo; b. la settimana prossima saranno già diffusi e pronti all’uso i software per il calcolo dell’Iva maggiorata, perché chi lavora deve prepararsi. A questo punto, se menano ancora il torrone, costerà anche il dovere ripristinare i vecchi calcoli. E saranno soldi buttati.

Detesto la demagogia, ma se queste cose non si sanno e non si sentono, fra il governo e i presunti esperti dei partiti, è perché non conoscono il lavoro e l’economia reale. Vanno a orecchio e sono stonati. Servono tagli alla spesa corrente. Servono dismissioni di patrimonio (mobiliare e immobiliare). Servono sgravi fiscali poderosi (non centesimi). Tutto questo è possibile, come abbiamo documentato, scendendo anche nel dettaglio, ma presuppone conoscenza e volontà. Sarà doloroso? Sarà terribile non farlo, perché si uccideranno i bravi per lasciare proseguire i furbi. Verso l’impoverimento collettivo. Non è ineluttabile, ma è urgente quel che ancora non vediamo.

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