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Segnali positivi per Tronchetti Provera

Telecom, la vendita, il governo

Restano irrisolti i problemi del socio e della rete. Bisogna puntare a liberare il mercato

di Davide Giacalone - 12 febbraio 2007

L’intreccio perverso fra questioni economiche, giudiziarie e di governo è una maledizione che ci porteremo appresso fino a quando non decideremo di mettere ordine nelle cose di casa nostra. In Telecom Italia quell’intreccio porta a degenerazioni davvero preoccupanti, e fra queste ci metto anche un pubblico dibattito fra pensatori che si sfidano brandendo lo statalismo od il libero mercato, le virtù del capitale pubblico o di quello privato, inspiegabilmente (forse) ignari d’essere totalmente fuori tema. E’ vero, lo raccontava bene ieri Oscar Giannino, se non proprio un cambio di clima Tronchetti Provera può contare su qualche segnale positivo, primo fra tutti la ponderata e non emotiva dichiarazione d’amicizia che gli è giunta dal presidente di Confindustria, Montezemolo. In fondo allo scuro il cielo sembra schiarirsi perché all’orizzonte spunta un compratore, capace di togliere dalle spalle di Pirelli l’impressionante debito che, come abbiamo più volte scritto, colpevolmente non è stato consolidato per tempo. E’ un bene per Pirelli, per Tronchetti Provera, per Telecom e per l’Italia. Certo, le quote di Olimpia saranno vendute a meno di quel che costarono, realizzando una perdita (e rifacendo marameo agli altri azionisti), ma è pur sempre meglio sia del disastro che della statizzazione alla moda di Rovati. Qui, però, si aprono due diversi problemi, che chiameremo: a. del socio e b. della rete.

Telecom Italia, dopo le scorribande durate dieci anni, non è più uno scrigno finanziariamente prezioso, non è più il terreno per operazioni agguanta e fuggi. Resta, però, una solida compagnia telefonica, ed un operatore dominante nel ricco mercato italiano. Può interessare molto un socio industriale, un’altra compagnia telefonica che voglia espandersi acquisendone il controllo. Chiunque sia (si parla degli spagnoli di Telefonica) state certi che partirà la gnagnera dell’attenti allo straniero. Il che è sbagliato dal punto di vista industriale, perché Telecom ha bisogno di respirare all’estero, altrimenti sarà divorata abbastanza velocemente. Inoltre si sarebbe dovuti stare attenti ai governanti italiani che la privatizzarono malamente ed a quelli che la fecero scalare colpevolmente, da loro ci si sarebbe dovuti difendere. Essendo stato fra i pochissimi ad averlo detto al momento giusto, mi fanno sorridere i tanti strateghi che arrivano a battaglia conclusa. Dunque, se Montezemolo ha parlato per dire che Confindustria non accetterà nuovi veti governativi che limitino la libertà degli imprenditori, ha fatto bene.

Resta irrisolto il problema della rete, che non consiste in chi la possiede, ma in come la si regola. Le reti di comunicazione (elettronica o fisica) sono beni strategici per un Paese, sui quali un governo non può perdere la sovranità. Tenerla, però, non significa ricomprare la rete dopo averla venduta, sempre a cura dello stesso Prodi e dei suoi acuti e ciarlieri consiglieri, bensì regolarla in modo tale da rendere ininfluente l’intestazione della proprietà. Si ottiene questo risultato rendendo la rete aperta ai concorrenti, amministrata in modo trasparente, con separazione, contabile o societaria, dalle altre attività del gruppo Telecom. Attenzione, però, queste cose si deve saperle fare e farle per tempo, mentre, invece, se si aspetta che passi, magari che gli spagnoli comprino, e poi ci si sveglia d’un colpo si riproduce l’orrore di Autostrade, dove riusciamo ad avere torto anche quando abbiamo ragione. Non c’è bisogno di uno Stato investitore, c’è necessità di uno Stato regolatore. L’inverso porta male. Ecco, questo è un terreno sul quale potrebbe misurarsi la competenza e la forza di un governo che voglia liberare il mercato, non sulle spuntature dei baffi al lunedì mattina.

Il tempo a disposizione di Tronchetti Provera è poco, la garanzia di Rossi non è senza scadenza, e l’Hopa (che in Telecom ha il 3,7 per cento) inghiottita dalla bazoliana Mittel non è un regolamento di conti vernacolare. Il timer, però, non è in mano ai mercati, bensì alla giustizia. E qui i piedi elegantemente calzati d’azzimati finanzieri comunicano ad affondare nella palta. La presunzione d’innocenza è un pilastro di civiltà, che siamo fra i pochi ad avere retto nel mentre gli altri lo usavano come discarica, ed aggiungo che un’inchiesta penale non dovrebbe mai durare anni, mai. Del resto, prima che vadano ad arrestare Massimo Mucchetti, accusandolo d’essersi spiato da solo e per personale diletto, è bene osservare che non ci credono neanche i rimbambiti all’idea che gli spioni pagati da Pirelli e da Telecom, quindi sempre da Tronchetti Provera, abbiano voluto conoscere i fatti miei e quelli di tanti altri sol perché s’annoiavano nei pomeriggi di pioggia. Lo stesso Montezemolo ha fascino e savoir faire sufficienti non solo per sostenere che gli asini volano, ma anche per additarne uno proprio lì, fuori dalla finestra, ma sarà bene noi si conservi una schicchera di buon senso, in modo da sorridere.

No, gli asini non decollano, almeno non da sé soli, ma è profondamente malato un Paese in cui dell’onestà di taluni debbano farsi testimoni gli amici, visto che non si dà troppo credito a verdetti che, oltre tutto, non ci sono, né si crede sia bastevole il non essere neanche indagati. E, del resto, quando si legge che il capo degli spioni scagiona con tanta determinazione i suoi capi, nel Paese del non diritto la cosa è presa come una specie di perdurante complicità, piuttosto che come una liberatoria. C’è un solo modo per fermare questa continua fuoriuscita di liquami: far funzionare la giustizia. Qui mi fermo, perché è domenica, ed è anche carnevale.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero dell‘11 febbraio 2007

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