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“Caso Tronchetti”: non è giustizialismo

Telecom, il potere, il garantismo

L’etica della furbizia e della spregiudicatezza negli affari non si addicono al mercato

di Davide Giacalone - 01 febbraio 2007

Attorno a Telecom Italia si combatte una guerra politica e di potere, innestata su una pericolosa inchiesta giudiziaria. L’insieme può disorientare, ma vedo in giro troppa superficialità, troppa approssimazione giuridica, troppo poca etica. Facciamo il punto. La capitolazione di Tronchetti Provera porterebbe con sé una vittoria del fronte prodiano nel campo dell’editoria ed il risorgere del progetto destinato a far nascere una “società delle reti” che, almeno del campo delle telecomunicazioni, è da vedersi come un poderoso passo indietro, o, se si preferisce, uno avanti verso Rovati ed il suo non dimenticato piano. E’, questa, una buona ragione per difendere Tronchetti? Si può sostenere che siccome rifiutò l’offerta avvelenata di Rovati egli sia da erigersi a stendardo del buon modo di condurre gli affari? Credo di no. Oltre tutto, sarebbe da orbi non accorgersi che egli tenta di preservare la posizione per riuscire a vendere, in tutto od in gran parte, la partecipazione in Olimpia. Più che prendere le sue parti, dunque, si tratta di rimproverargli il capolavoro fatto ed i guai creati.

Alla faccia delle sbandierate liberalizzazioni, la politica prodiana di ristatalizzazione si è dotata di uno strumento, la società F21, che ieri Francesco Forte ha perfettamente descritto. Non è neanche il vecchio Iri, è assai peggio perché nasce da un inciucio fra cordate finanziarie convergenti, autoproclamatesi stato nello Stato. C’è una gran voglia di rifare il cuccismo senza Cuccia, dimenticando che il grande banchiere siciliano trapiantato a Milano ebbe enormi meriti, ma il suo modo di concepire e governare il mercato era morto con la mondializzazione e l’apertura dei mercati, quindi prima del suo trapasso fisico. Rieditarlo oggi significa volere fare le cose fuori tempo e senza nulla che sia paragonabile al rigore morale di Cuccia. Per bloccare quel disegno, però, ogni strumento è buono ed ogni sponda utilizzabile? No, perché ha un senso bloccarlo se lo si fa per rendere più aperto e trasparente il mercato, non per ottenere il contrario.

Si è anche fatto notare che nei confronti di Tronchetti Provera si pecca di scarso garantismo, o, se si preferisce, di giustizialismo. Non capisco, o, meglio, capisco che la cultura del diritto è diffusa così poco da far fare confusione fra garantismo ed innocentismo. Tronchetti non è neanche indagato, se lo fosse o se lo sarà questa è una garanzia per lui, non una sentenza anticipata di colpevolezza. Ma è ora di finirla con il credere che la pubblica moralità sia appannaggio delle procure, e si smetta di confondere il giudizio penale con quello morale. Noi i guasti della gestione Telecom li denunciammo quando tutti applaudivano e le procure dormivano, in beato letargo con la Consob. Che si dovrebbe fare, quando le inchieste partono, attendere quindici anni per sapere come sono andate le cose? No, attenderemo il verdetto, ma i fatti sono fatti e l’etica degli affari è stata stracciata da quanti hanno ritenuto di potere utilizzare strumenti detestabili. Il garantismo, che difficilmente potrà esserci insegnato, tutela il cittadino innanzi alla legge, non ne fa dimenticare la condotta nel mercato e nella società. Il garantismo riguarda la posizione dei singoli, non la constatazione di quanto il mercato abbia deragliato dai binari dell’etica.

La patologia giudiziaria ha due radici: da una parte c’è la magistratura autoreferente e la lentezza esasperante dei giudizi; dall’altra l’incapacità di certi ambienti, economici o politici, di amministrare la propria eticità. Quando nessuno strumento di controllo funziona, quando l’etica della furbizia e della spregiudicatezza vince su quella del rispetto della norma, quando l’omertà copre la voce di chi ha il coraggio di usarla, alla fine arriva il becchino penale. Abbiamo segnalato il rischio per tempo, abbiamo fatto denunce che gli altri hanno ignorato, i becchini li hanno portati loro, mica noi. Poi, certo, c’è chi specula e chi tifa, ma questo è uno spettacolo secondario, benché disgustoso. Se qualcuno pensa che sia un bene coprire i comportamenti irregolari, magari in ossequio all’idea che il mondo degli affari sia luogo acconcio a uomini adusi ad ogni cosa, per meglio contrastare il fronte degli avversari, si sbaglia. Quello è un modo perfetto per perdere e per essere ricattabili. E anche se si vincesse si condannerebbe il mercato ad un buio morale che arricchirebbe pochi impoverendo la collettività. Accidenti! dopo le Cirio e le Parmalat, dopo i comportamenti collusivi delle banche, dopo il silenzio della stampa ed il ritardo della magistratura, qualcuno dovrà pur porsi il problema di un Paese che non voglia scivolare fra i selvaggi e gli statalisti post sovietici.

www.davidegiacalone.it

Pubblicato da Libero del 1° febbraio 2007

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