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Bruxelles approva Francia e Germania

Tasse e Iva in controtendenza

L’Europa riduce le imposte sulle imprese e aumenta quelle sul consumo. L’Italia no

di Alessandro D'Amato - 27 giugno 2007

Un carico fiscale abnorme sulle aziende. E, insieme, una direzione profondamente diversa rispetto a quella europea sui consumi. Il rapporto Kpmg sui redditi d’impresa conferma che l’Italia è uno tra i paesi del mondo con le tasse più alte sui redditi d’impresa. Un’aliquota nominale al 37,25% – frutto della combinazione tra Ires al 34% e Irap base al 3,25% – che ci porta al quarto posto tra i paesi più industrializzati, preceduti solo da Giappone (40,7%), Stati Uniti (40%) e Germania, che però nel 2008 scenderà dal suo 38% al 30%. Ancora più eclatante è il confronto con la media Ue, che quest’anno è scesa al 24,2% rispetto al 25,8% del 2006. Ciò che più colpisce, quindi, è la sostanziale controtendenza italiana rispetto al resto del mondo: “Le aliquote sui redditi d’impresa in Italia sono passate dal 52% nel 1993 al 37,25% alla fine del 2003, ma da allora il processo si è interrotto.”, osserva Kpmg.

E invece il processo di riduzione dell’aliquota media in tutta l’Unione Europea ha visto una forte accelerazione, in particolare negli ultimi anni – con le aliquote medie che sono scese dal 32% del 2002 al 24,2% attuale – proprio quando da noi la diminuzione si è fermata. Anche quest’anno, al netto del cuneo, la politica fiscale di Tommaso Padoa-Schioppa non ha inciso se non in minima parte dal lato delle imprese. E la controtendenza non si esaurisce soltanto in questo: in un’Europa che ha, nel complesso, l’Iva più alta a livello internazionale, con una media del 19% a fronte di un 17,7% dell’Ocse, del 14% del Sudamerica e del 10% dell’Asia, l’Italia mantiene il suo 20% fermo dal provvedimento firmato Vincenzo Visco nel 1997. Molto più bassa di quella dei paesi scandinavi – che arrivano al 25% – in una tendenza generale che è invece in crescita. La Germania da quest’anno l’ha portata dal 16% al 19%, senza tra l’altro apprezzabili risultati dal punto di vista dell’inflazione (nonostante una stima di Barclays che parlava di una crescita pari allo 0,5%-1% ogni due punti di Iva in più), che continua ad essere in generale regresso. La Francia ha invece “inventato” l’Iva sociale, annunciando un rialzo di 5 punti percentuali dell’imposta e motivandolo con la necessità di fare cassa per poter tagliare le tasse delle imprese, incentivandole così a desistere dalla delocalizzazione, e sostenere il made in France. E l’aumento può far bene alla crescita. Lo spiega direttamente L’Unione Europea. Gli economisti della Direzione generale affari economici di Bruxelles rilevano che mentre le imposte sul reddito scoraggiano il risparmio, quelle sui consumi lo incoraggiano perché “trattano il consumo attuale e futuro nello stesso modo”.

Anche se c’è un inconveniente: “Le imposte sui consumi sono viste come regressive, ricadendo più pesantemente su chi ha redditi bassi”. E per una domanda come quella italiana, ancora debole nonostante gli aumenti recenti, il pericolo potrebbe essere proprio questo.

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