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Meno equità e più immediatezza

Tappe montiane

La manovra italiana di Monti al Consiglio Europeo

di Davide Giacalone - 06 dicembre 2011

Quanti chiedono al governo Monti “maggiore equità” dovrebbero avere la compiacenza d’investire una maggiore quantità d’intelligenza: non è stato chiamato per essere equo, ma per essere duro e immediato. Se un governo tecnico fosse, al tempo stesso, equo e capace di riforme che guardino al futuro, impostando un programma che si sviluppa negli anni, vorrebbe dire che la politica è destinata a scomparire dall’orizzonte. Piuttosto che reclamare equità, quindi, dovrebbero essere capaci di partire dalla realtà e proporre ricette convincenti.

Per farlo devono studiare, giacché spararle grosse e propagandistiche può andar bene per qualche stagione, quando regna l’abbondanza, poi si finisce male. Vedo anch’io che le proposte del governo sono un impasto di tasse e botte, come vedo che a pagare il prezzo di tanti anni senza governo vero è il ceto medio. Questi sono i frutti di due crisi, che si sommano: quella interna e quella dell’euro. Frutti maturati nel mentre in Italia si viveva la stagione della seconda Repubblica, nel corso della quale il centro destra ha vinto tre volte le elezioni, il centro sinistra due, ma il risultato è stato simile: non governo.

Lo vedo, ma mi sforzo di capire quel che succede, d’individuare le tappe lungo le quali si potrà dipanare l’azione di questo governo, quale può essere il suo ruolo. Senza tifoserie preconcette, che sono divenute lo scrigno dell’inutilità. Mario Monti ha presentato il decreto (naturalmente disomogeneo, come sempre, anche se, adesso, dal Colle si è meno occhiuti e severi) non risparmiando una stilettata a due colleghi bocconiani, rei di avere criticato l’innalzamento di aliquote Irpef che, in effetti, non c’è. Capisco che nei momenti difficili si cerca di alleggerire la tensione, magari con un calcio negli stinchi a chi infastidisce, ma sia sincero: quel provvedimento era nel decreto fino a poche ore prima, sostituito da due punti in più di Iva.

Lasciamo da parte le questioni estetiche, badiamo alla sostanza: perché le due misure possono essere sostituite l’una all’altra? Perché non hanno effetto immediato, ma si materializzano all’inizio della seconda parte dell’anno prossimo. In altre parole: le misure sono durissime, per loro natura non eque, ma prima di divenire realtà c’è il tempo per vedere come evolve la partita dell’euro. A cominciare dal prossimo Consiglio europeo, già questa settimana. Monti si presenterà agli altri europei, e in particolare ai tedeschi, potendo dire di aver fatto quel che aveva promesso loro: gli italiani sono stati mazzolati a dovere.

Siccome i nostri soldi non sono noccioline, e non ci piace sprecarli lanciandoli alle scimmie della speculazione, s’intende che passeremo dal dire al fare in tanto in quanto l’euro ha ancora un avvenire, oltre a un funesto presente. E lo avrà se si avvierà la riforma dei trattati, lasciando subito mano libera alla Bce nel bloccare gli assalti ai debiti sovrani. Della serie: noi abbiamo fatto, ora tocca a voi. Fila. Molti scriveranno, oggi, che i mercati hanno “promosso” la manovra italiana, facendo salire la borsa e scendere gli spread. Lettura superficiale, per non dire rozza. La metto diversamente: i mercati hanno capito che può essere rischioso puntare ad arricchirsi contando sul fallimento del salvataggio dell’euro, interpretando le scelte italiane come un segnale, per loro, di pericolo. Quindi si ritirano. Ma attenzione a non confondere una giornata con una stagione. Il pericolo è ancora incombente.

Supponiamo, com’è ragionevole, che il Consiglio europeo si concluda con un compromesso decente, sicché i tedeschi, potendo dire ai propri cittadini che gli italiani sono stati chiamati a pagare, la piantano di tenere le mani legate alla Bce. Da quel momento comincia il bel tempo e, nel giro di poco, gli spread possono tornare, abbastanza stabilmente, attorno ai 300 punti base. Si respira. Risolti tutti i problemi? Neanche per idea. A quel punto, infatti, appena iniziato il 2012, si deve passare alla conversione e all’attuazione. Il problema non sono le forze politiche, oramai triturate dalla propria insipienza, ma l’Italia e gli italiani, che rischiano di tuffarsi nella recessione. Per capirci: i ristoranti sono sempre pieni, ma i carrelli del supermercato no.

La divaricazione cresce, e mentre c’è chi continua nei consumi affluenti altri rinculano in quelli essenziali. Per questi ultimi di spread non sono un bel niente, né godranno nel vederli scendere, se ciò avverrà assieme al calare del loro potere d’acquisto. Per uscirne, quindi, occorre mettere mano al capitolo più importante: riforme per la crescita. I temi? Scuola, giustizia, amministrazione, sanità, mercato del lavoro. E anche riforma della rappresentanza politica, sullo sfondo, quindi, il cambiamento della Costituzione e l’ingresso nell’era in cui la nostra democrazia la smetta di avere paura delle maggioranze elettorali e dia forza a chi governa. Questa roba non la può certo fare il governo tecnico, che reclama la propria origine nel mandato ricevuto dal capo dello Stato (cosa diversa da quel che è scritto nella Costituzione). O, più precisamente: se le forze politiche lo delegheranno ad altri allora meglio che tolgano il disturbo e spariscano dalla circolazione. Non tanto per risparmiare quattrini, ma per risparmiarci la bile provocata dalla loro ciarliera inadeguatezza.

Il governo Monti ha avviato un viaggio che, salvo disastri, ha davanti tappe positive. Le forze politiche maggiori, invece, sono ancora attardate a guardarsi l’ombelico. Magari reclamando la dignità di quella politica che proprio non riescono ad incarnare.

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