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I due schieramenti sono entrambi responsabili

Tanti padri per un amaro bilancio

La stagnazione rimane e il rialzo dei tassi ha già fatto peggiorare i conti pubblici

di Enrico Cisnetto - 02 marzo 2006

Zero spaccato, come si usava una volta a scuola. L’economia italiana non ha fatto i compiti e si becca il voto peggiore nella materia più importante, la crescita del prodotto interno lordo. Il risultato era atteso, anche se molti speravano che quello zero tondo fosse un po’ attenuato da almeno un decimale, ma vederlo confermato mentre le altre principali realtà economiche internazionali hanno ben diversi risultati (Cina 9,5%, Usa 3,5%, Spagna 3,4%, Regno Unito 1,8%, Germania 0,9%) e dopo che si è inutilmente farfugliato di ripresa e ripresina, francamente non è piacevole. Il nostro Paese resta incagliato nelle sabbie di una stagnazione che è ormai diventata permanente, e dalla quale sarà difficile uscire anche per quest’anno. Né i due punti decimali guadagnati nel rapporto deficit-pil (4,1% anzichè il preventivato 4,3%), pur essendo sempre meglio di niente, sono sufficienti a darci serenità. Sia perchè ci siamo mangiati più della metà (dall’1,3% allo 0,5%) del già ridotto (era al 3,2% nel 2001) avanzo primario, cioè la differenza nel bilancio dello Stato tra entrate e uscite al netto degli interessi, sia perchè ora che i tassi hanno ripreso a salire il fabbisogno nel primo bimestre di quest’anno è più che raddoppiato rispetto allo stesso periodo del 2005 (da 4,5 a 10 miliardi), segnalandoci che la finanza pubblica andrà ancora peggio.

Di certo, quindi, l’Italia continua a non brillare, tanto che le preoccupanti stime fornite da Efn-Euroframe (il network che riunisce i dieci maggiori istituti europei di analisi economiche), che hanno previsto una chiusura del periodo 2001-2007 con una crescita complessiva del 5,7% e una media annuale dello 0,8%, saranno alla luce della stagnazione 2005 riviste ancora al ribasso, anche perchè il quinquennio già passato consuntiva un miserevole 0,64% medio. A ulteriore conferma (non necessaria) di un barometro della nostra economia che indica diffusi rovesci con probabili allagamenti. Questi ultimi sono resi quasi certi dagli investimenti fissi lordi delle aziende (-0,6% lo scorso anno), che certificano la perdita di fiducia nel prossimo futuro da parte degli imprenditori, assai lontana dal +4% del 2002, quest’ultimo condizionato in peggio dall’effetto “11 settembre”. E confermati, inoltre, dall’andamento dei consumi (+0,3% nel 2005), capaci di dimezzare per due anni di seguito la propria capacità di crescita, partendo dal +1,2% del 2003 e passando dallo 0,6% del 2004. e Fra gli effetti negativi creati dalla “stagnazione infinita”, l’ultima novità è il calo dell’occupazione a tempo pieno, che nel 2005 in termini di unità e al netto della cassa integrazione ha fatto segnare -0,4%, pari a oltre 100mila posti di lavoro a tempo indeterminato in meno. Un’altra inversione di tendenza da non sottovalutare, specie perchè su questo terreno il governo Berlusconi finora era riuscito a portare a casa buoni risultati.

Ma è evidente che, nel loro complesso, i dati forniti ieri dall’Istat – così come quelle sulla produzione industriale, sulla produttività calante e sulla perdite di quote di commercio internazionale – non consentono all’attuale esecutivo di presentare agli elettori un bilancio positivo delle politiche economiche portate avanti durante la legislatura che si sta concludendo. Questo, però, non deve rappresentare per il centro-sinistra l’occasione di una speculazione propagandistica, perché è evidente che se il declino tende ad incancrenirsi e a trasformarsi piuttosto rapidamente in vera e propria decadenza, le “pezze a colore” messe dal centro-destra in questi anni di guida del Paese, hanno cercato senza ombra di dubbio di coprire buchi formati e allargati ben oltre l’arco temporale di un lustro, e risalenti fino ai tempi in cui lo stesso Berlusconi era all’opposizione. I due schieramenti sono ugualmente responsabili della crisi strutturale in atto, finendo per indurci a bocciare severamente l’esperienza del “bipolarismo all’italiana”. Eppure la più lunga e più brutta campagna elettorale della storia repubblicana non si sta consumando su questi temi e con quel coraggio della verità che la condizione del Paese richiederebbe, ma offre lo spettacolo deprimente all’insegna del chi promette di più.

Pubblicato sul Messaggero del 2 marzo 2006

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