Forma e contenuto
Tagliate le spese, ma anche la demagogia
Il primo, migliore e maggiore risparmio, è fare le cose fatte benedi Enrico Cisnetto - 10 maggio 2013
Enrico Letta convoca i ministri “in ritiro” per “fare spogliatoio”, in una abbazia in Toscana e, a mezzo tweet, tiene a far sapere che “ognuno paga per sé”. Grillo e Casaleggio pretenderebbero che i parlamentari pentastellati vivano a Roma con 3 mila euro lorde al mese. Giuseppe Vegas inizia la sua relazione annuale Consob ricordando che nel 2012 la commissione di controllo sulle attività di Borsa “ha proseguito l’azione di contenimento dei costi riducendoli del 7,1% rispetto all’anno precedente, pari 9,2 milioni”. E l’elenco potrebbe proseguire all’infinito. Siamo dunque diventato un paese virtuoso?
Ora, è vero che abbiamo vissuto a lungo ben al di sopra delle nostre possibilità, ed è altrettanto vero che la nostra vita pubblica è costellata di sprechi e malversazioni. E, dunque, non ci piove che un po’ di serietà nel contenimento delle spese, specie di quelle ridondanti, male non faccia. Ma ho l’impressione, detta brutalmente, che molto spesso si tratti di fumo più che di arrosto. Non sto parlando dei casi citati, anche se, in tutta sincerità, come contribuente non mi sentirei defraudato se il governo decidesse, per meglio fare il suo lavoro, di fare a spese mie una due giorni in una qualche località. No, è dell’andazzo generale che fatico a fidarmi. Nelle attività pubbliche, come in quelle private, ciò che conta sono i risultati ultimi. E risparmiare un po’ sulle spese per poi avere un pessimo esito del proprio lavoro non è certo un obiettivo esaltante. Si dirà: se il lavoro pessimo era e pessimo rimane, tanto vale che costi meno. Boh, chi si accontenta gode. Io preferirei che costasse di più e che rendesse in proporzione.
Guardate che tutta la vita pubblica è improntata al criterio – deteriore – del massimo ribasso e del pessimo risultato. Le gare di appalto, per esempio. Se nel bando prevale la componente di costo rispetto a quella di merito e quindi di qualità, il risultato sarà – come è nella stragrandissima maggioranza dei casi – lavori presi da aziende di serie C che pur di fare fatturato lavorano in perdita e che, poi, scaricano sui tempi e sulle modalità di esecuzione del lavoro stesso. A tutto danno, se si tratta di lavori pubblici, di quello stesso cittadino a cui nel frattempo si è raccontato che l’ente appaltante gli sta facendo risparmiare un sacco di soldi. Naturalmente la colpa è di chi inganna. Ma per una volta, io che sono sempre per la responsabilità individuale, vedo in tutto questo una colpa collettiva. E già, perché anche i media che nel denunciare gli sprechi e la cattiva amministrazione, fanno giustamente il loro mestiere, non capiscono – o forse in taluni casi sì, se ne rendono conto, ma si piegano a ciò che fa più tiratura o più audience – che l’usare certe parole d’ordine alla fine produce una mentalità collettiva distorta. Dunque, ricordiamoci che il primo, migliore e maggiore risparmio è fare le cose bene.
Ora, è vero che abbiamo vissuto a lungo ben al di sopra delle nostre possibilità, ed è altrettanto vero che la nostra vita pubblica è costellata di sprechi e malversazioni. E, dunque, non ci piove che un po’ di serietà nel contenimento delle spese, specie di quelle ridondanti, male non faccia. Ma ho l’impressione, detta brutalmente, che molto spesso si tratti di fumo più che di arrosto. Non sto parlando dei casi citati, anche se, in tutta sincerità, come contribuente non mi sentirei defraudato se il governo decidesse, per meglio fare il suo lavoro, di fare a spese mie una due giorni in una qualche località. No, è dell’andazzo generale che fatico a fidarmi. Nelle attività pubbliche, come in quelle private, ciò che conta sono i risultati ultimi. E risparmiare un po’ sulle spese per poi avere un pessimo esito del proprio lavoro non è certo un obiettivo esaltante. Si dirà: se il lavoro pessimo era e pessimo rimane, tanto vale che costi meno. Boh, chi si accontenta gode. Io preferirei che costasse di più e che rendesse in proporzione.
Guardate che tutta la vita pubblica è improntata al criterio – deteriore – del massimo ribasso e del pessimo risultato. Le gare di appalto, per esempio. Se nel bando prevale la componente di costo rispetto a quella di merito e quindi di qualità, il risultato sarà – come è nella stragrandissima maggioranza dei casi – lavori presi da aziende di serie C che pur di fare fatturato lavorano in perdita e che, poi, scaricano sui tempi e sulle modalità di esecuzione del lavoro stesso. A tutto danno, se si tratta di lavori pubblici, di quello stesso cittadino a cui nel frattempo si è raccontato che l’ente appaltante gli sta facendo risparmiare un sacco di soldi. Naturalmente la colpa è di chi inganna. Ma per una volta, io che sono sempre per la responsabilità individuale, vedo in tutto questo una colpa collettiva. E già, perché anche i media che nel denunciare gli sprechi e la cattiva amministrazione, fanno giustamente il loro mestiere, non capiscono – o forse in taluni casi sì, se ne rendono conto, ma si piegano a ciò che fa più tiratura o più audience – che l’usare certe parole d’ordine alla fine produce una mentalità collettiva distorta. Dunque, ricordiamoci che il primo, migliore e maggiore risparmio è fare le cose bene.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.