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Public Policy

Un problema enorme

Tagliare i costi della politica

Un piano ragionato per una soluzione rapida

di Mario Tarantino - 31 gennaio 2012

Ormai è divenuta urgente ed ineludibile la riforma della ”politica” i cui privilegi e relativi costi non sono più sostenibili dal Paese e ancor meno tollerati dai cittadini. Gli stessi “attori” si sono resi conto che è necessario un ridimensionamento dei loro costi e della loro presenza (ovvero invadenza) in ogni settore pubblico della società italiana. Occorre però una vera riforma “strutturale”, possibilmente con una Legge costituzionale, tale da non poter essere modificata o vanificata dal Parlamento ed introducendo nell’ordinamento giuridico dello Stato la norma che nessun cittadino (gruppi, associazioni, ecc.) per nessuna ragione e per nessun ruolo istituzionale abbia il potere di fissare autonomamente il proprio compenso per l’esercizio della propria attività compresa quella pubblica. Ciò premesso si pone quindi il problema di come determinare il costo del “politico” ed individuare Chi lo deve determinare. Ritengo che questo sia il caso in cui possa essere presa a modello l’organizzazione sindacale trattando, economicamente e giuridicamente, gli eletti a cariche politiche istituzionali, come lavoratori “distaccati” ad altre attività di interesse pubblico, mantenendo quindi gli stipendi/salari che percepiscono nelle proprie aziende, come pure i trattamenti pensionistici. Questo sistema non può valere ovviamente per tutti gli eletti e quindi si dovranno prevedere dei correttivi per coloro che svolgono attività imprenditoriale, libera professione, disoccupati, top manager ed altre categorie speciali, nei confronti dei quali si dovranno adottare altri criteri come, ad esempio, i seguenti:
a) Il libero professionista, l’artista, l’imprenditore, l’artigiano e qualunque altro professionista e lavoratore autonomo, avrà diritto ad un compenso mensile pari a 1/12 del compenso annuo ricavato dalla media dei compensi degli ultimi 3 anni dichiarati al fisco;
b) Stesso sistema di trattamento sarà adottato per i commercianti; c) I disoccupati, i lavoratori dipendenti (pubblici e privati) e pensionati avranno diritto ad un compenso 4-5 volte superiore a quello medio di un lavoratore dell’industria privata o di un impiegato dello stato qualora i propri redditi netti siano inferiori;
d) I top manager riceveranno il compenso medio che sarà stabilito da un’apposita commissione mista (pubblica/privata) che dovrà determinare un tetto minimo e massimo dei compensi dei c.d. top manager e tale compenso dovrà essere di riferimento ed adottato anche per i Dirigenti della P.A.
Oltre ai compensi di cui sopra, dovranno essere forniti agli eletti, o garantiti sotto forma di bonus o di calibrate maggiorazioni dello stipendio, gli strumenti e i mezzi necessari per lo svolgimento del proprio compito istituzionale (biblioteca, sala lettura, personal computer, albergo e ristorante convenzionati per gli “esterni” – o una stanza nei “residence” a disposizione – gratuità dei viaggi sui treni, gratuità dei viaggi aerei per i ministri e i presidenti delle Camere, gratuità dei taxi da e per le stazioni e gli aeroporti e in genere tutte quelle concessioni previste attualmente e da mantenere solo per i non residenti in Roma. Non saranno invece fornite “auto blu” se non per quelle pochissime figure istituzionali a cui va assicurata una scorta armata. Non devono essere concessi “porta-borse” a spese dello Stato, nemmeno “Studi” nei palazzi del Parlamento e nemmeno devono essere ivi allocati barbieri, truccatori ed altre figure che non rivestono alcun ruolo istituzionale ad eccezione degli uscieri nei palazzi del Parlamento ma in numero strettamente necessario per il buon funzionamento delle sedi parlamentari.

Quanto sopra è ancora una premessa poiché la vera e strutturale riduzione dei costi della politica la si dovrà ottenere riducendo drasticamente il numero dei parlamentari ad ogni livello istituzionale: da quello centrale (Parlamento) a quello periferico (Regioni, Province e Comuni) cominciando dalla diversificazione delle 2 Camere e dal numero dei parlamentari da eleggere. Le statistiche ci dicono che i residenti in Italia sono circa 60 milioni compresi alcuni milioni di stranieri e di clandestini. Pertanto, considerando come accettato il numero di cui sopra si può stabilire una regola fissa e cioè che il numero dei Deputati deve essere direttamente proporzionale al numero dei cittadini e può essere 1 Deputato ogni 200.000 cittadini per un totale quindi di 300 Deputati. Per il Senato si può seguire la stessa regola ma su base regionale significando che ogni Regione può eleggere 1 Senatore ogni 200.000 residenti in essa per cui dovremmo avere, almeno teoricamente, 300 Senatori. Le Regioni più piccole quali la Valle d’Aosta, il Molise e la Basilicata potranno aggregarsi alla Regione confinante ed utilizzare eventuali resti di questa per totalizzare almeno 200.000 residenti e quindi eleggere almeno un Senatore. Sorvolo per il momento (tratterrò l’argomento a parte) sui diversi compiti del Senato (prevalentemente federali e non solo) che dovrebbero essere di competenza esclusiva delle Regioni mentre la Camera manterrebbe intatto il potere di legiferare che ha oggi seppur con qualche necessaria modifica dei suoi regolamenti. Anticipo, per il Senato, una competenza delegata dalla Camera circa la “autentica interpretazione e finalità” delle leggi da essa prodotte sottraendola ai Magistrati che troppo spesso si abbandonano alla “personale interpretazione” dettata esclusivamente da interessi di parte (politica) se non proprio privati. Accantonando per il momento le Regioni che potranno essere anche modificate dagli attuali confini, una radicale riforma amministrativa dovrà interessare la Periferia dello Stato con la creazione di Aree Metropolitane e Provinciali in sostituzione di Province, Città e Comuni ed esse diventeranno i nuovi soggetti istituzionali che saranno un po’ più numerosi delle attuali province ma fagociteranno politicamente tutti i Comuni d’Italia con la cancellazione di circa 9.000 Giunte Comunali (!) per cui la riduzione dei costi della politica diventa finalmente una realtà concreta e un gigantesco risparmio economico per il bilancio dello Stato. Questa parte di riforma si attua istituendo le Aree Metropolitane nei grandi centri urbani (Roma, Milano, Torino, Genova, Bologna, Firenze, Napoli, Bari, Palermo, Cagliari, ecc.) che ingloberanno le piccole città e i paesi della propria periferia per un raggio di circa 30-40 km. Il restante territorio sarà suddiviso in Aree Provinciali che ricorderanno un poco le vecchie Province ma che saranno, istituzionalmente e amministrativamente, identiche alle aree Metropolitane da cui si differenzieranno quasi esclusivamente per l’estensione geografica. Inoltre, si dovrà introdurre anche in Periferia il metodo della rappresentanza in rapporto al numero dei residenti che potrà essere di 1 Consigliere Metropolitano ogni 20.000 residenti e, quindi, ipotizzando un’Area Metropolitana di 2.000.000 di residenti essa sarà amministrata da 100 Consiglieri. Tra i 100 Consiglieri eletti ci saranno almeno una metà che fungeranno da Sindaci delle rispettive cittadine di provenienza ed essi saranno quasi sempre unici rappresentanti politici di quelle piccole città inglobate nell’Area Metropolitana. In ogni città fagocitata dalla Metropoli resteranno in piedi tutti i servizi in essere in tali città ma si trasformeranno in “terminali” amministrativi della Metropoli che centralizzerà tutti i servizi per cui resteranno gli sportelli per il pubblico, e quindi i lavoratori ivi impiegati, salvo che sia possibile accorpare o totalmente centralizzare qualcuno di tali servizi ma, in ogni caso, si farà a meno di tutto il personale dirigenziale (!). Stessa riforma riguarderà le Aree Provinciali, per le quali bisognerà prevedere un numero minimo (15-20) di Consiglieri, le quali erogheranno gli stessi servizi delle Aree Metropolitane da cui differiranno, come già detto, solo per la diversa estensione geografica. Queste però dovranno essere individuate e delimitate con molto buon senso in modo da rendere equivalenti ed equilibrate tali Aree in funzione dei servizi ai cittadini, dei costi di tali servizi e degli introiti di tali Aree. Occorrerà perciò tenere conto della popolazione, dei servizi pubblici, dell’economia dell’area, delle strutture e infrastrutture e di tutto quanto occorre per il buon funzionamento di un agglomerato urbano. Anche per i Consiglieri delle Aree M. e P. si dovranno fissare i compensi sul modello di quelli dei Deputati e Senatori ma con minori bonus e maggiorazioni che non dovrebbero mai pesare economicamente quanto quelli degli eletti al Parlamento. Le elezioni dei Sindaci delle Aree Metropolitane e Provinciali potrebbero avvenire come avviene adesso, ad elezione diretta, oppure eletti dal Consiglio Metropolitano.

Per attuare una riforma di tale portata occorrerà molto impegno, buona volontà ma soprattutto tanto buon senso e la disponibilità della marea di dati che lo Stato ha ma che non sa sfruttare.

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