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È arrivato il momento delle “colombe”?

Superiamo il bipolarismo bellico

È necessario un disarmo bilaterale e bilanciato

di Enrico Cisnetto - 21 dicembre 2009

E’ davvero arrivato il momento delle “colombe” nella politica italiana? Me lo auguro, ma non ci scommetterei un centesimo. Né sono persuaso che l’aggressione subita abbia indotto Silvio Berlusconi ad accantonare, quantomeno del tutto, l’idea di elezioni anticipate. Che, sono convinto – al contrario del mio amico Stefano Folli – sia da almeno due mesi il primo degli obiettivi dl premier, anche quando, come a Milano poco prima che la statuetta lo colpisse, dichiara di non averci mai neppure pensato.

Pessimismo? Sottovalutazione dei piccoli segnali di apertura e disgelo che proprio il fattaccio di Milano ha provocato? No, realismo. Intanto perché non mi pare che i falchi, dall’una come dall’altra parte, siano in fase di disarmo: dal discorso di Cicchitto alla Camera sui “mandanti morali” che trova eco nelle linea del Giornale alla dialettica (si fa per dire) tra Fini e gli ex di An, dalla sollevazione dei sostenitori di Franceschini verso D’Alema reo di essere realista al linguaggio dei giornali di sinistra, tutto sembra congiurare verso un ulteriore inasprimento dei toni.

Ma soprattutto, trovo che ci sia molta furbizia e ancor più ipocrisia dietro la gran parte delle aperture che con finto buonismo vengono sbandierate come sego della volontà di rendere il clima politico più sereno. Infatti, da una parte si dice grosso modo: siccome siete voi di sinistra a fomentare, se adesso vi ravvedete potremmo anche concedervi il nostro perdono. Il che, tradotto, significa: mollate Di Pietro e potremmo anche dialogare. Richiesta giusta, quella inviata al povero Bersani, il quale deve avere le giacche ormai strappate a fuori di sentirsi tirare da una parte e dall’altra.

Ma irricevibile – mi permetto di rispondere a suo nome, visto che finora ha taciuto (troppo) – perché a parità di tutte le altre condizioni politiche, significherebbe che il centro-sinistra rinuncia a tentare di costruire un’alternativa di governo. Certo che sarebbe opportuno che Bersani mollasse esplicitamente e una volta per sempre non solo Di Pietro e l’Idv, ma tutta la galassia giustizialista. Ma questo si può fare se il disarmo del “bipolarismo armato” è bilanciato, cioè se anche il centro-destra rinuncia al suo radicalismo, che è rappresentato dalla Lega, o quantomeno da molte delle sue posizioni e dalla gran parte dei suoi uomini.

Dall’altra parte, viceversa, si dice: Berlusconi si faccia processare, e poi se ne parla. Non capendo, o facendo finta di non sapere, che l’anomalia rappresentata dalla sua presenza nella vita politica – che certamente esiste fin dal primo giorno della “discesa in campo” e che il Cavaliere non ha fatto nulla non dico per rimuovere, ma almeno per ridimensionare – non cancella l’altrettanto macroscopica anomalia di una magistratura che, fottendosene allegramente di essere parte di un sistema giustizia ormai in default, fin dai tempi di Mani Pulite ha rotto l’equilibrio dei poteri e ha assunto un ruolo politico che non le compete.

Insomma, quello che intendo dire è che mi pare molto difficile, anzi impossibile, trovare la strada virtuosa del rispetto dell’avversario e della collaborazione senza il superamento di quel bipolarismo all’italiana che è stato insieme causa e conseguenza di quel clima intossicato che si vorrebbe bonificare.

Altrimenti, ammesso – e non concesso – che davvero si riesca magicamente nell’intento, il rischio è quello di bissare il difetto fondamentale del passaggio tra la Prima e la Seconda Repubblica: aprire una nuova fase politica, se non addirittura inaugurare una nuova stagione, costruendola sull’equivoco del non detto e del non chiarito. Allora fu la questione “costo e finanziamento della politica”, oggi sarebbe quella relativa al tipologia e al funzionamento del sistema politico.

Capisco, però, che se il superamento della dicotomia “berlusconismo-antiberlusconismo”, che il volto insanguinato del premier ha reso palese anche a ciechi, ha come premessa e corollario ineludibile la creazione di un sistema politico non bipolare – o quantomeno non ottusamente basato sulla contrapposizione, tanto più se basata sulla figura di una persona e non sulle idee – capisco, dicevo, che questo passaggio debba prevedere una inevitabile fase di transizione. E penso che alcuni spunti per tracciare un percorso di questa transizione siano individuabili nell’intervista di D’Alema pubblicata sul Corriere della Sera di giovedì.

In particolare quando sostiene che è meglio offrire a Berlusconi un salvacondotto sicuro, ad hoc per lui, piuttosto che pasticciare una legge fintamente per tutti che farebbe solo danno o che troverebbe l’inevitabile contrarietà del Quirinale e della Consulta. Se poi, sul piano giuridico, la cosa si debba tradurre nella proposta del “ponte” lanciata da Vietti o in qualcosa d’altro, lasciamo che siano gli esperti a suggerircelo. Ma che un negoziato vada fatto, se ne deve convincere tanto Berlusconi quanto il Pd. Sapendo fin d’ora che due devono essere i punti irrinunciabili per evitare sia che l’accordo fallisca sia che si trasformi in un pateracchio consociativo delle peggior specie: che il disarmo del bipolarismo bellico deve essere bilaterale e bilanciato; che il riordino costituzionale che deve necessariamente seguire sia realizzato nell’ambito di un’Assemblea Costituente e non in parlamento o, peggio, nelle piazze.

Dopodiché, sono molto scettico sul fatto che Berlusconi sappia trovare il coraggio e la lucidità di aprire, nel modo giusto, un tavolo di trattativa siffatto, e che dall’altra parte non ci siano la solita fila di incendiari pronti a rovinare tutto. Ma vorrei tanto, tanto sbagliarmi. Così affido a Babbo Natale, trasformando questo articolo nella classica letterina a Santa Claus, la richiesta che il miracolo si avveri. Buon Natale.

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