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Definizione, logica e storia del pil

Super Quars! La salute delle nazioni

La scienza economica ci ha insegnato che gli indici non sono semplici numeri

di Antonio Gesualdi - 25 ottobre 2006

Per non parlare sempre di questioni astratte - e nostro malgrado illusorie - converrebbe impostare un ragionamento di politica economica sui dati reali piuttosto che su quelli immaginari.
La polemica decennale su che cosa rappresenti, realmente, il Prodotto Interno Lordo (PIL) è scivolata, almeno dalle nostre parti, sul tentativo di quantificare ancora di più l"imprecisabile. La definizione comune è questa: "PIL è il valore complessivo dei beni e servizi finali prodotti all"interno di un paese in un certo intervallo di tempo (solitamente l"anno)." Quando compariamo i PIL se questo fosse vero significa che il servizio che svolge un avvocato americano è assimilabile al servizio che svolge un avvocato italiano, o francese, o tedesco o giapponese. Quando compariamo i PIL, cercando di capire come vanno le diverse economie, è come se mettessimo sullo stesso piano il servizio di nettezza urbana di Brasilia con quello di Biella, il costo di un biglietto dell"autobus che ci porta da Cerveteri a Roma con uno che ci porta da Richmond a New York. Il costo di un medio appartamento di Chicago con quello di un medio appartamento di Vicenza. Insomma il PIL ha una sua logica e una sua storia. Non è solo un numero.
E" stato inventato nel dopoguerra per misurare le produttività nazionali e poterle comparare, ma nel dopoguerra funzionava. Le economie erano sostanzialmente industriali; ci si scambiava soprattutto beni - dell"agricoltura e dell"industria -. Le società avanzate producevano automobili, frigoriferi, lavatrici, televisioni. Questo era il modello e il PIL lo rispecchiava abbastanza.
Chi ha deviato, oggi, cerca la misurazione di indici ambientali, di cittadinanza, di pari opportunità e partecipazione. In Italia si chiama "Quars - Indice di qualità regionale dello sviluppo". Personalmente credo che il Quars non sia comparabile tra nazioni diverse. E" un esercizio. Ma su questo approfondiremo.
Torniamo al PIL. Se guardiamo la classifica mondiale del PIL "nominale" (quello dove dentro ci si ficca tutto, insomma) al primo posto troviamo gli Stati Uniti, poi il Giappone, la Germania, la Gran Bretagna, la Francia, l"Italia e la Cina, eccetera. Troviamo l"immaginario del mondo che ci costruiamo ogni giorno. Un immaginario fondato sull"illusione che tutti i beni e, soprattutto, tutti i servizi prodotti in un Paese possano essere scambiati con altri e quindi possano servire a valutare la ricchezza e la produttività di un popolo.
Se, con le dovute pinze, andiamo, invece, a scorrere la classifica dei Paesi (fonte: CIA World Factbook) che hanno la più alta percentuale di produzione industriale - di beni - all"interno del PIL troviamo al primo posto la Guinea Equatoriale (90,6%), poi il Qatar, l"Iraq, l"Angola, l"Arabia Saudita, l"Algeria. Al 18esimo posto la Cina (47,3%), al 40esimo la Russia con il 37,1%. Insomma troviamo i Paesi dai quali dipendiamo, sostanzialmente, per l"energia, e che spingono per invaderci con i loro prodotti. Cioè troviamo i Paesi la cui economia è fondata sulla produzione di beni.
I Paesi più avanzati, che abbiamo visto avere un altissimo PIL nominale, invece, hanno tutti una produzione industriale sotto il 30%. La classifica è questa: Germania 29,6% - Italia 29,1% - Giappone 25,8% - Gran Bretagna 23,7% - Francia 21,4% - Stati Uniti 20,4%.
Appare evidente da queste classifiche combinate del PIL l"azione della contro-rivoluzione industriale in tutto il Mondo e, per certi aspetti, le problematiche che si pongono al nostro Paese. La produzione di beni è nei Paesi, cosiddetti, in via di sviluppo. I Paesi avanzati devono poter trovare soluzioni diverse per poter arrivare nei mercati internazionali con qualcosa da offrire nello scambio. Questo comporta scelte non solo di economia, ma anche sociali, di istruzione, di popolazione. Su questo la classe dirigente occidentale sembra non avere le idee chiare. Il quadro illusorio, quindi, si dissolve e appare un altro Mondo: i Paesi agli antipodi come gli Stati Uniti (grande PIL nominale, basso PIL industriale) e l"Iraq (basso PIL nominale e alto PIL industriale) sono in guerra. I paesi più avanzati restano, sostanzialmente, il Giappone, la Germania e gli Stati Uniti. La storia non è acqua: i primi due con un capitalismo più strutturato, che appare anche più equilibrato mentre gli Stati Uniti sembrano vivere meglio nel disequilibrio. I paesi in via di sviluppo, con uno/due secoli di ritardo, sono entrati nella piena rivoluzione industriale. E se questo genererà le turbolenze che ha generato nella nostra Europa attendiamoci grandi cambiamenti.
Quanto all"Italia produce in termini nominali, ormai, tanto quanto la Cina, è sempre più distanziata dalla Francia e ci siamo anche dimenticati di quando avevamo perfino superato la Gran Bretagna. Ma come si vede l"Italia è "ancora" un Paese industriale. Purtroppo o per fortuna "ancora un paese indistriale"? Questa è una domanda alla quale dobbiamo una risposta, e in fretta.
La domanda è: siamo certi che la crisi, anche politica, della Germania e dell"Italia non sia connessa a questo ritardo nella contro-rivoluzione industriale? Siamo sicuri che lo scarso livello della nostra classe imprenditoriale non sia dovuto a questa lentezza? E che le imprese - per forza di cose - più di così non faranno perché sono un settore - globalmente - in delocalizzazione? Non sono gli imprenditori che delocalizzano, ma la forza della contro-rivoluzione industriale nei paesi avanzati e della rivoluzione industriale in quelli in via di sviluppo. La scelta è obbligata.

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