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I costi dell'energia

Sullo shale gas l'Italia deve muoversi

Dopo il no al nucleare siamo fermi anche sullo shale gas. Poi non lamentiamoci se paghiamo l’energia il 30% più del resto d’Europa

di Enrico Cisnetto - 03 febbraio 2014

Si tratta di una divaricazione strutturale, nuova e non occasionale: i prezzi dell’energia in Europa salgono, e saliranno per altri vent’anni, mentre negli Stati Uniti scendono, e continueranno a scendere. La previsione arriva dall’Agenzia Internazionale per l’Energia, che lancia l’allarme: l’Europa non ha per nulla compreso la questione, e le sue conseguenze sulla competitività. Un trend di questo tipo, infatti, danneggerà interi settori, dall’acciaio al petrolchimico, passando per l’alluminio, e a cascata molti altri comparti manifatturieri ne soffriranno, rendendo la vita difficile ad almeno 30 milioni di lavoratori. Inoltre, sempre a causa del gap dei prezzi dell’energia, l’Europa nelle prossime due decadi perderà un terzo delle quote di esportazioni sul mercato globale, mentre sarà costretta a importare il gas al triplo e l’energia industriale al doppio rispetto agli Usa.

L’Unione europea ha scelto l’ambiziosa strategia delle rinnovabili – e ha fatto bene – ha disprezzato il nucleare – e ha fatto male – ma soprattutto ha ignorato quasi totalmente la ricerca dello shale gas che, invece, negli Usa ha permesso un vero e proprio rinascimento manifatturiero. E ha fatto malissimo.

La soluzione non sta in una battaglia di principio fra competitività e ambientalismo, ma è nel mezzo, attraverso l’estensione del ruolo dell’energia nucleare, lo sviluppo dell’estrazione dello shale gas, l’implementazione dell’efficientamento e del risparmio energetico, la rinegoziazione dei prezzi di importazione del gas naturale, visto che quasi il 70% dei contratti sono in scadenza nei prossimi 10 anni, la stabilizzazione delle rinnovabili in regime di vera grid parity senza ulteriori strappi normativi.

E se l’Europa tentenna, l’Italia è immobile. L’applicazione della Sen, “Strategia energetica nazionale”, è una lancinante fonte di delusione, dopo che finalmente un documento di politica energetica ci aveva dato coordinate che mancavano da due decenni. Dopo i ripetuti dinieghi ideologici al nucleare, la difficoltà geopolitica di creare gasdotti e oleodotti che riducano la nostra dipendenza energetica dall’estero, i pasticci normativi sulle rinnovabili e le difficoltà che s’incontrano anche solo nel far entrare in funzione un termovalorizzatore, nel Belpaese non è previsto il rilascio di nemmeno una licenza per la ricerca dello shale gas.

Mentre in Europa, almeno, la Polonia l’ha sperimentato, rilasciando le licenze all’irlandese San Leon Energy ed entro ottobre potrebbe iniziare la commercializzazione. In Gran Bretagna la compagnia IGas stima di raggiungere il traguardo in tre anni. Si dirà: ma l’Italia non il posto più adatto per “spremere” le rocce argillose. L’osservazione ha un suo fondamento. Ma, allora, non sarebbe il caso di provare a negoziare a Bruxelles una politica comune europea? Sono anni che predico, inascoltato, la necessità di una “Maastricht dell’energia” che produca una politica comune in una materia che è decisamente sovranazionale. Poi non lamentiamoci se le nostre aziende pagano l’energia il 30% più del resto d’Europa e il 60% dei cugini francesi, se la nostra bilancia commerciale è in rosso e se la nostra politica estera è subordinata ai capricci dei paesi produttori e dei loro despoti. L’autonomia si raggiunge anche con il coraggio e le strategie a lungo termine. Altrimenti la paghiamo cara, e non solo l’energia. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.