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L’Ue non sta reagendo al ricatto di Mosca

Subito una Maastricht dell'energia

La debole Italia è la prima a pagare l'aggressività di Zar Putin

di Enrico Cisnetto - 15 febbraio 2006

Stiamo raschiando il fondo del barile, già svuotato dai continui tagli al gas imposti dalla Russia di Vladimir Putin. La decisione del governo, che ha annunciato il ricorso, mediante un piano straordinario, agli stoccaggi nazionali, è un passo tanto inevitabile quanto affannoso, nel tentativo di tappare una falla nel sistema energetico nazionale cui si sarebbe dovuto metter mano ben prima. Nelle ultime settimane, i ritardi di natura politica – dovuti alla mancanza di un piano energetico di lungo periodo – e quelli cultural-sociali – predicati dalla filosofia Nimby, il cui assordante ritornello ripete “tutto si può fare ma non nel mio cortile” – sono stati accentuati dalle mosse di judo geopolitico del presidente russo. All’ex agente del Kgb, ora “democratico” capo del Cremlino, andavano stretti i panni di leader di una potenza in disarmo. Così la Russia ha deciso di tornare grande.
Cavalcando l’occasione del generale inverno – assai rigido in tutta Europa – Putin è partito alla “carica energetica” contro l’Occidente con una nuova Armata Rossa, che non sfila più sui viali di Mosca, ma che attraversa nei gasdotti le fredde steppe del Paese. Ora, questi rubinetti Putin ha deciso di chiuderli. Sulla base dei dati di crescita dell’economia russa che hanno registrato nel 2005 un aumento del 6,4%, l’obiettivo è quello di rafforzare la posizione di Putin all’interno del G8. Vero è che quest’anno spetta a Mosca la presidenza di turno del “club mondiale”, ma a Putin, di certo, non basta. In attesa di un ingresso trionfale anche nell’Organizzazione internazionale del commercio, il “lupo siberiano” punta ad allargare la sua sfera di influenza economica su mercati già maturi, vedi quelli europei, e comunque facili prede, in particolare quello italiano. Ed è attraverso una serie di accordi bilaterali con il campione energetico nazionale, l’Eni, che il gigante Gazprom, legato a doppio filo con il governo di Putin, spera di fare il suo ingresso in Italia come venditore finale, portando il gas direttamente nelle nostre case. Una mossa che, pur godendo di appoggi politici importanti, toglierebbe all’Eni e alle municipalizzate un ricco mercato per donarlo graziosamente agli oligarchi amici di “zar Vladimir”. Tuttavia, il benessere del popolo russo non sembra affatto il primo dei pensieri del Cremlino. Dal 2000 a oggi, Mosca ha accumulato 173 miliardi di dollari in riserve auree e valutarie. Il debito estero si è ridotto dall’80% nel 2000 al 30% l’anno passato. Ma i redditi reali, pur avendo subito un miglioramento, sono falcidiati dall’inflazione, che resta pericolosamente stabile al 23%. Mentre il gap tra una minoranza ricca e una sterminata fascia della popolazione alla fame è sempre più ampio. Putin, però, snobba questi squilibri sociali interni, a vantaggio di una politica estera aggressiva, unicamente frutto della sua spregiudicatezza personale. Quest’ultima già resa palese nelle più che discutibili aperture ad Hamas e al governo iraniano di Mahmoud Ahmadinejad. La Russia ha assunto così il ruolo di variabile impazzita dello scacchiere internazionale. Perché approfitta della totale assenza di una politica estera comune in seno all’Unione europea e dell’incertezza degli Stati Uniti verso l’ex nemico numero uno. Di fronte a ogni intoppo internazionale, Bruxelles dimostra di essere un colosso economico dai piedi di argilla. E in questo caso, l’Ue non ha saputo reagire unita al ricatto di Mosca. Solo Angela Merkel ha avuto il coraggio di farsi sentire al Cremlino, ma la sua posizione, priva di un appoggio comunitario alle spalle, non ha prodotto effetti. Washington, dal canto suo, con George Bush unicamente concentrato nelle questioni mediorientali, insiste a non prendere una chiara posizione nei confronti di Putin. Erroneamente convinto che il rapporto Usa-Russia sia ancora quello intessuto da Bill Clinton con Boris Yeltsin, quando, negli anni Novanta, Mosca era una potenza in disarmo e sull’orlo di un collasso economico simile a quello argentino.
I lassismi euro-americani, quindi, aprono la strada all’espansionismo energetico russo, a meno di una repentina inversione di rotta, soprattutto sul versante europeo. C’è bisogno, allora – e urgentemente – di una vera e propria “Maastricht dell’energia”, che non solo sappia contenere l’impeto da Est, ma riesca a sbarcare per prima in altre realtà, dagli Stati Uniti alla Cina, dove il fabbisogno energetico è e sarà sempre più elevato. Nel frattempo, l’Italia deve assumere la questione energetica come vera e propria emergenza nazionale. La cosa più saggia sarebbe che le due coalizioni firmassero in campagna elettorale un patto che le impegni dopo, quale sia l’esito delle urne, a redigere insieme un piano energetico almeno decennale. Per evitare di finire arrostiti dal gas di Putin.

Pubblicato sul Gazzettino il 15 febbraio 2006

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