Media lontani dal giudizio degli spettatori
Strapotere conveniente, non democratico
Mentre si assiste ai balletti tv, il proporzionale imbavaglia gli elettori ai partitidi Antonio Gesualdi - 06 aprile 2006
Il professor Mauro Calise, in un libro sintetico quanto indispensabile dal titolo "Dopo la partitocrazia", del 1994, spiegò lucidamente quanto sta succedendo. Ovvero che non avrebbe funzionato l"ideologia della democrazia diretta attraverso il maggioritario con il suo fine di realizzare il bipartitismo. A metà degli anni novanta abbiamo avuto una quantità di intellettuali promotori del referendum sul maggioritario. E, stranamente per un sistema dei media equilibrato, anche tutti i grandi giornali nazionali furono concordi con la filosofia della democrazia diretta. Il ruolo svolto dai media in appoggio al movimento referendario rappresentò un vero e proprio ribaltamento rispetto al passato. Fino ad allora giornali e televisioni erano stati subalterni al potere politico. Da allora giornali e televisioni hanno cominciato a dettare tempi e modi ai singoli politici più o meno barricati in un"organizzazione che somigliasse ad un partito. I media, evidentemente, sono molto avvantaggiati dai meccanismi di democrazia diretta: guadagnano di più (nel senso del denaro per le inserzioni pubblicitarie) se i candidati sono in competizione tra loro, anche quelli dello stesso partito. Diventano, implicitamente, portatori principali delle opinioni "della gente" anche se "la gente" che va in televisione non è scelta in modo democratico. L"opinione "della gente" di un qualsiasi servizio televisivo si fonda, al massimo, su una decina di interviste casuali. Si consolida una forma di trasmissione delle opinioni, e quindi del loro controllo, indipendente e anche "irresponsabile", "urlato", "giustizialista". Insomma i media ottengono uno strapotere conveniente, ma niente affatto democratico e per niente sottoponibile a giudizio democratico. Vince il sondaggio sul processo democratico. Vince l"ascolto sulla partecipazione attiva. Chi comanda una televisione non è eletto democraticamente perché la televisione è un"azienda non un"istituzione.
Con buona pace dei referendari (che hanno sempre la scusa del "Mattarellum", ma una scusa solo al 25%!) quella è stata una battaglia persa in partenza. La legge maggioritaria, infatti, non produce automaticamente il bipolarismo a livello nazionale, in Parlamento, ma piuttosto lo produce solo a livello locale, di collegio, provocando spaccature. Oggi, infatti, abbiamo un Paese con forti scontri locali e una grandissima frammentazione nazionale. Ma abbiamo anche un forte strapotere dei media che comincia a sgretolarsi. Per la seconda campagna elettorale consecutiva il candidato premier (si fa per dire, naturalmente, visto che sarà il Presidente della Repubblica a dare l"incarico. Ma per il balletto delle televisioni e per l"onda lunga di questi anni, si finge che non sia così) che viene dato in vantaggio rifiuta di confrontarsi con l"avversario. Con la differenza che questa volta un dibattito Prodi-Berlusconi – seppure in stile tribuna elettorale – c"è stato, mentre nel 2001 Berlusconi non l"aveva neppure concesso. Chi è quasi sicuro di perdere cerca il confronto o il conforto "della gente", del telespettatore non dell"elettore.
Così mentre ogni parlamentare, fino ad oggi, era occupato a contendersi elettori e collegio elettorale e badava poco al partito e al Parlamento, ora è cominciata la marcia indietro. Ci sono candidati – sicuri di essere eletti – che non sono neppure andati a fare campagna elettorale nella circoscrizione che dovranno rappresentare. Ma hanno preferito fare campagna elettorale per le idee, per il partito, per "la percentuale". Il proporzionale, infatti, sposta la lotta politica dalle facce delle persone (buone per ogni ripresa televisiva) alle identità e ai simboli (no-buoni per le riprese televisive). I partiti hanno deciso i candidati eletti, hanno cominciato a ristrutturarsi perché voteremo solo un simbolo, ma soprattutto hanno tagliato le spese di propaganda. Si sono fatte tante cene e pochi spot. Il proporzionale è anche questo. E, francamente, penso che questo proporzionale (tolto o il premio o la soglia potrà essere utile per eleggere un"Assemblea Costituente. Ma questo è un altro discorso).
Se finirà l"onda lunga di quella malaccorta ideologia della democrazia diretta - che da noi sfiora sempre il populismo - anche i media, e soprattutto la televisione dovranno ripensarsi. Lo tsunami che è accaduto ieri a Mediaset è rivelatore. Proprietari, dirigenti, direttori di telegiornali, giornalisti sono andati in fibrillazione. E" il segno di una crisi non più di un potere. Così come è segno di una crisi l"editoriale di Paolo Mieli che appoggia apertamente il centro-sinistra. Nei giornali dove si fa c"è una netta divisione tra direttore editoriale e direttore di testata. Da noi questa tradizione non esiste. Emblematico anche Giuliano Ferrara imbavagliato: il giornalista-opinionista si tace. Parlano i politici che, se eletti, hanno responsabilità verso chi li ha eletti e devono, democraticamente, rispondere del loro operato. I media non sono più il terminale diretto con "la gente".
Stanno tornando i partiti e l"elettore non è più solo un lettore!
Con buona pace dei referendari (che hanno sempre la scusa del "Mattarellum", ma una scusa solo al 25%!) quella è stata una battaglia persa in partenza. La legge maggioritaria, infatti, non produce automaticamente il bipolarismo a livello nazionale, in Parlamento, ma piuttosto lo produce solo a livello locale, di collegio, provocando spaccature. Oggi, infatti, abbiamo un Paese con forti scontri locali e una grandissima frammentazione nazionale. Ma abbiamo anche un forte strapotere dei media che comincia a sgretolarsi. Per la seconda campagna elettorale consecutiva il candidato premier (si fa per dire, naturalmente, visto che sarà il Presidente della Repubblica a dare l"incarico. Ma per il balletto delle televisioni e per l"onda lunga di questi anni, si finge che non sia così) che viene dato in vantaggio rifiuta di confrontarsi con l"avversario. Con la differenza che questa volta un dibattito Prodi-Berlusconi – seppure in stile tribuna elettorale – c"è stato, mentre nel 2001 Berlusconi non l"aveva neppure concesso. Chi è quasi sicuro di perdere cerca il confronto o il conforto "della gente", del telespettatore non dell"elettore.
Così mentre ogni parlamentare, fino ad oggi, era occupato a contendersi elettori e collegio elettorale e badava poco al partito e al Parlamento, ora è cominciata la marcia indietro. Ci sono candidati – sicuri di essere eletti – che non sono neppure andati a fare campagna elettorale nella circoscrizione che dovranno rappresentare. Ma hanno preferito fare campagna elettorale per le idee, per il partito, per "la percentuale". Il proporzionale, infatti, sposta la lotta politica dalle facce delle persone (buone per ogni ripresa televisiva) alle identità e ai simboli (no-buoni per le riprese televisive). I partiti hanno deciso i candidati eletti, hanno cominciato a ristrutturarsi perché voteremo solo un simbolo, ma soprattutto hanno tagliato le spese di propaganda. Si sono fatte tante cene e pochi spot. Il proporzionale è anche questo. E, francamente, penso che questo proporzionale (tolto o il premio o la soglia potrà essere utile per eleggere un"Assemblea Costituente. Ma questo è un altro discorso).
Se finirà l"onda lunga di quella malaccorta ideologia della democrazia diretta - che da noi sfiora sempre il populismo - anche i media, e soprattutto la televisione dovranno ripensarsi. Lo tsunami che è accaduto ieri a Mediaset è rivelatore. Proprietari, dirigenti, direttori di telegiornali, giornalisti sono andati in fibrillazione. E" il segno di una crisi non più di un potere. Così come è segno di una crisi l"editoriale di Paolo Mieli che appoggia apertamente il centro-sinistra. Nei giornali dove si fa c"è una netta divisione tra direttore editoriale e direttore di testata. Da noi questa tradizione non esiste. Emblematico anche Giuliano Ferrara imbavagliato: il giornalista-opinionista si tace. Parlano i politici che, se eletti, hanno responsabilità verso chi li ha eletti e devono, democraticamente, rispondere del loro operato. I media non sono più il terminale diretto con "la gente".
Stanno tornando i partiti e l"elettore non è più solo un lettore!
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.