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Public Policy

Spread e terza fase

di Enrico Cisnetto - 02 aprile 2012

Ha ragione il ministro Passera: il debito pubblico e privato ammonta a circa 3.500 miliardi, per cui ogni punto percentuale di oneri, cioè 100 punti base di spread, vale 35 miliardi. Trecentocinquanta milioni ogni punto di spread. Dunque, da quel maledetto 9 novembre dello scorso anno, quando il differenziale sui Btp decennali arrivò al massimo storico di 575 punti e aprì le porte al governo Monti, al 16 marzo, quando è stato toccato il livello (minimo dall’agosto precedente) di 275 punti, l’Italia ha risparmiato 3 punti percentuali, e quindi ben 105 miliardi. Significa, mediamente, 820 milioni al giorno. Ma nelle scorse due settimane lo stesso spread è risalito fino a 346 (apertura di venerdì, salvo chiudere poi a 332), riprendendosi 71 dei 300 punti che aveva perso. Vuol dire quasi 25 miliardi, cioè circa 1,8 miliardi per ciascuno degli ultimi 14 giorni. In tutti i casi, l’Italia non è in grado di sopportare per molto tempo un livello di spread intorno ai 300 punti – sarebbe così anche se si stabilizzasse poco sotto, perché per respirare bisogna che sia inferiore ai 200 punti – e questo non solo per i maggiori oneri sul debito pubblico, quanto soprattutto per l’influenza negativa che lo spread ha sui tassi d’interesse per le imprese. Ora, questa contabilità serve a ricordarci due cose: quanto sia stato importante voltare pagina quando eravamo con un piede e mezzo nel baratro del default, ma anche quanto sia pericoloso sottovalutare la risalita dei differenziali, considerando già acquisito il nostro salvataggio. Due valutazioni che ci devono indurre ad un doppio atteggiamento nei confronti del governo Monti: gratitudine per quanto ha fatto, pressione per indurlo a passare a quella che potremmo chiamare la “fase tre”, se la uno è stata la manovra correttiva sul deficit e la riforma delle pensioni e la due le liberalizzazioni e la riforma del mercato del lavoro. Finora il dibattito è stato tutto incentrato sul giudizio da dare agli interventi fin qui realizzati dal governo – valutazione che è particolarmente positiva se si guarda ai riflessi sugli spread, meno se si esaminano i singoli provvedimenti nel merito – mentre adesso bisogna guardare a cosa si può e si deve fare negli undici mesi che ci separano dalla fine legislatura. L’obiettivo deve essere duplice: non mollare la presa sui conti pubblici – il rialzo degli spread ce lo impone – ma nello stesso tempo puntare ad un intervento straordinario, per intensità e tipologia, per frenare la recessione e rilanciare la crescita. E l’unica manovra che può rendere compatibili entrambi gli obiettivi è quella che agisce sul nesso “debito-patrimonio-investimenti”. E’ ora di passare dalla spremitura dei redditi, che sono stati fin troppo compressi dal binomio “poca crescita-tante tasse”, al coinvolgimento dei patrimoni, quello pubblico e quelli privati, nel salvataggio e rilancio del Paese. Molti progetti sono stati offerti ad un dibattito fino stitico e dal quale si è colpevolmente sottratto il governo. Io sono per la quotazione in Borsa del patrimonio pubblico e dell’obbligo di acquisto dei relativi titoli da parte dei privati. E sono perché il ricavato (400-500 miliardi) vada per due terzi a riduzione del debito e per un terzo a investimenti in conto capitale e riduzione di tasse. Ma anche altre idee non mancano di interesse e fascino. Purché la “terza fase” inizi domattina. (www.enricocisnetto.it)

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