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Lombardo al capolinea

Spread alla siciliana

Possiamo avere l'economia più virtuosa del mondo, ma finché la politica sarà quella dimostrata dagli amministratori locali, lo spread non ci darà tregua

di Massimo Pittarello - 19 luglio 2012

L’economia e la politica sono legate da milioni di connessioni e interdipendenze. Ma alcune sono davvero singolari e caratteristiche, come quella che c’è fra lo spread e quanto sta accadendo in Sicilia e nelle altre autonomie territoriali – seppur in maniera minore – che hanno creato dei buchi di bilancio in grado di mettere in ginocchio chiunque, senza peraltro sviluppare altro se non un’economia parassitaria, clientelare e improduttiva.

Perché quello che preoccupa maggiormente i mercati non sono gli i debiti, comunque importanti, quanto piuttosto l’instabilità politica e l’incapacità di programmare il futuro. Il buco della Regione siciliana, le dimissioni annunciate, ma ancora non formalizzate del governatore Lombardo – corredate addirittura da una richiesta di “conferma” da parte di Monti, in modo che si possa programmare il da farsi – il rischio default evitato solo grazie ad un trasferimento del governo nazionale di 500 milioni, sono i sintomi di una patologia tutta italiana, la cui terapia – oltre ai sacrifici a al rigore di bilancio – necessita di un netto cambio di mentalità. Altrimenti è difficile che la rotta possa essere invertita e che i mercati possano tornare a credere nel nostro futuro, nonostante l’Italia sia fra i Paesi europei più virtuosi.

E questo i dati lo confermano: il nostro debito pubblico pro-capite (31mila euro) è inferiore a quello americano (38mila dollari), mentre la ricchezza finanziaria delle famiglie italiane (44500 euro procapite) è superiore a quella tedesca (38mila euro). Per l’Italia, il rapporto di tale valore con il debito pubblico procapite – i 31mila euro di cui sopra – è al 70% , e si discosta di poco da quello tedesco, fermo al 67%. Ma i mercati non pensano nemmeno ad attacchi speculativi sul debito tedesco, mentre quello italiano è sotto pressione da tempo, tale che il rischio bancarotta è per noi serio e reale. Per intenderci, il rapporto fra ricchezza e debito procapite della Grecia è al 273%, quasi quattro volte quello italiano.

Perché allora siamo a rischio default e sotto attacco? Anche conteggiando i dati assoluti, l’economia, da sola, non fornisce risposta soddisfacente. Tra il 1994 e il 2007 il debito pubblico italiano è sceso dal 121% al 103% del Pil, al contrario di quello tedesco, salito di 17 punti. Negli ultimi tre anni, dal 2008 al 2011, l’Fmi dice che il nostro passivo, rispetto al Pil, è cresciuto di 14 punti, esattamente come quello tedesco, contro i 18 della Francia, i 27 degli Stati Uniti e i 30 del Regno Unito.

Stesso discorso vale per il deficit di bilancio. Siamo virtuosi, come e meglio di altri Paesi europei. La proposta del neo ministro Grilli, “di rendere beni pubblici per 15-20 miliardi all"anno, pari all"1% del Pil per dare un colpo secco al debito pubblico e portarlo sotto quota 100 del Pil”è una iniziativa meritevole di attenzione, ma i mercati non sembrano reagire. Lo spread continua ad avvicinarsi alla pericolosa soglia di 500 punti, e probabilmente rimarremo sotto attacco anche con un rapporto debito/Pil intorno al 100%. Perché il problema è politico e culturale.

Mentre in Spagna il ministro del Bilancio, Cristobal Montoro, dichiara pubblicamente in Parlamento che “nelle casse pubbliche non ci sono soldi per il pagamento dei servizi", da noi, il dimissionario (?) Lombardo attacca giornali e giornalisti, promettendo una serie di querele a raffica per chiunque osi dire che ci possa essere un rischio default per la regione. Un’invettiva non dissimile al “i ristoranti sono pieni”, pronunciata da Berlusconi i primi giorni di novembre, prima delle sue dimissioni. Dichiarazioni evidentemente di un tenore non “corrispondente” a quella che è la realtà, ma che si possono paragonare a quelle di Mario Monti: “è difficile dire che l’Italia non dovrà chiedere aiuti internazionali”.

E’ palese che l’avvento del Professore ha segnato una discontinuità, politica e culturale, a cui è necessario dare seguito. Ma sembra che nessuno in Italia ne abbia il coraggio. Il ritorno di Berlusconi, il trio fotografato a Vasto, l’incalzare dei sindacati corporativi, sono i segnali che la politica, dopo averci portato sull’orlo del baratro e aver fatto fare il lavoro sporco ai tecnici per salvarci dal rischio default, è pronta a tornare, più bugiarda e sprecona di prima.

Quindi, se vogliamo dare una risposta seria ai mercati, se vogliamo acquisire una credibilità internazionale che non sia legata solo alla personalità di Mario Monti, ma che possa invece estendersi nel medio e lungo periodo, dobbiamo dare attuazione alla proposta di Grilli, dobbiamo andare avanti con le liberalizzazioni e le riforme, ma più di ogni altra cosa dobbiamo tagliare la spesa pubblica. E per farlo è necessario impostare in modo completamente diverso il lavoro della spending review, che non deve essere solo il taglio degli sprechi, ma una diversa impostazione strutturale delle uscite dello Stato. E il caso della Trinacria è emblematico: il giudizio espresso da Moody’s sulla Sicilia (Baa2 con outlook negativo) è lo stesso espresso per l’Italia.

Qualcosa non va, se da una parte si fanno sacrifici lacrime e sangue, mentre dall’altra continuano ad essere assunti forestali, “camminatori”, spalatori di neve e via dicendo da una amministrazione regionale che ha in proporzione 9 volte i dipendenti pubblici della Lombardia, la visione che i mercati, ma non solo, avranno di noi è quella di un Paese che non è in grado di riformarsi, di adeguarsi agli standard europei, di imboccare la strada del rilancio economico e politico. E in tal caso, potremmo accusare solo noi stessi. Lombardo, in fin dei conti, è un prodotto del voto elettorale e democratico.

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