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Altri pericolosi indicatori

Sotto tutela

Perché la situazione italiana è più difficile di quanto non sembri

di Enrico Cisnetto - 07 novembre 2011

Meno male che non avevamo indetto le elezioni anticipate, altrimenti ci avrebbero imposto di cancellarle. Con non meno violenza di quella esercitata con Papandreu per costringerlo a riconsiderare il referendum che aveva appena proposto ai greci, l’Europa più forte – spalleggiata dagli Usa e dagli altri del G20 – ha imposto all’Italia una tutela senza precedenti, che di fatto ne cancella la sovranità nazionale, seppure quella sostanziale e non formale. Ricordo che nel passato (quello a cui due decenni fa gli italiani hanno colpevolmente dato un calcio nel sedere in nome delle “magnifiche e progressive sorti” del bipolarismo), Ugo La Malfa, da ministro del Tesoro, trovandosi alla porta gli ispettori del Fondo Monetario, che pretendeva di sapere e giudicare in anticipo i programmi del governo perché ci aveva fatto un prestito, si rifiutò persino di riceverli.

Ricordo anche che, successivamente, La Malfa firmò una lettera d’intenti con lo stesso Fmi – cosa ben diversa da “monitoraggio”, formula ipocrita per dire “tutela commissariale” – e che questo causò la caduta del governo Moro-La Malfa per mano del Psi di De Martino. Dico questo per dire come, pur nella difficoltà più estrema, l’orgoglio di una classe dirigente degna del ruolo che occupa non può mai venire a mancare. E che non è certo facendo finta che le cose stiano diversamente – vedi le inutili smentite italiane a Cannes poi spazzate via dalle dichiarazioni di Barroso, Van Rompuy e soprattutto della Lagarde – che si riconquista la credibilità perduta. Perché, per esempio, della signora francese neo direttore generale dell’Fmi si possono dire le peggio cose, a cominciare dai pessimi risultati ottenuti a Parigi come ministro delle Finanze, ma non che sbaglia quando afferma che il problema dell’Italia è la perdita totale di credibilità.

Al di là delle opinioni, lo certificano i mercati, con lo spread a 462 punti e i credit default swaps (cds), cioè i contratti assicurativi con cui gli investitori si coprono dal rischio di fallimento di un paese, arrivati ad un livello record tale che per l’Italia si pronostica che nei prossimi cinque anni ci siano 35 possibilità su 100 di andare in default, posizione che vede peggio messi nel mondo solo altri sei paesi. Sarà fallace quanto si vuole, ma il giudizio dei mercati è purtroppo insindacabile. Ed è il giudizio di chi contesta non il debito al 120% del pil – quello c’era anche prima, e negli anni scorsi era arrivato fino al 134% – ma la credibilità di chi (centro-destra e centro-sinistra) da anni sostiene di essere intenzionato a fare riforme strutturali che, per inseguire le corporazioni e conquistare facili consensi, non arrivano mai. Dunque, guai a confondere la giusta indignazione per le mortificazioni subite – da un’Europa che non c’è, da leader come Merkel e Sarkozy che giocano a fare i duri ma (purtroppo) sono assai deboli e miopi, e da un Fondo Monetario che esso stesso ha scarsa credibilità visto che non ha certo brillato quando la finanza tracimava – con l’autoassoluzione. Se siamo nel pieno di un disastro senza precedenti e sull’orlo di un baratro che può portarci al fallimento (è vero che non siamo la Grecia, ma questo non significa che non possiamo fare la stessa fine) la responsabilità è solo e soltanto nostra. Che poi i becchini siano dei pochi di buono, aggrava la nostra rabbia, ma non attenua la nostra colpa.

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