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Public Policy

Incapacità di reazione

Sotto Monti nulla

Destra e sinistra devono trovare un punto d'incontro per riformare il sistema elettorale

di Davide Giacalone - 05 febbraio 2012

Le parole di Mario Monti, assai calibrate e in gran parte condivisibili, rispettano formalmente il ruolo del Parlamento, non potendo disconoscere la necessità di una maggioranza che sostenga il governo, ma, nella sostanza, dimostrano l’inutilità delle più grosse forze politiche. La loro incapacità di reazione equivale a rassegnazione. Quasi a desiderata eutanasia. Il governo ha annunciato l’intenzione di modificare l’articolo 18, dello statuto dei lavoratori, con ciò mettendo un ditone nell’occhio della sinistra ideologica e sindacale. Salvo che quella cancellazione è nell’interesse dei lavoratori, i primi a pagare la perdita di produttività e di mercato, quindi d’occupazione, e salvo che i sindacati non rappresentano affatto i lavoratori, ma un arroccamento conservatore, un’illusione insostenibile, un passato già andato.

Sia Monti che la Fornero si stanno muovendo con grande perizia, perché anziché puntare alla riforma complessiva del mercato del lavoro, magari scantonando, per ragioni d’opportunità, l’articolo 18, procedono all’opposto, puntando dritto su quel baluardo insipiente. Colgono la sinistra in contropiede e dimostrano l’inesistenza sia della squadra che delle idee, aggredendone la base elettorale. Sul fronte destro il governo ha già operato in modo malizioso. Le liberalizzazioni non ci sono, al più si tratta di riregolazioni, ma vengono ugualmente sbandierate, costringendo il centro destra ad uno strano travestimento: le sosterremo, ma vogliamo che siano vere. Scusate, ma se questa è la vostra opinione, perché non le avete fatte voi? E’ semplice: perché quelle riforme, se non fatte all’inizio di una legislatura e con il tempo per vederne gli effetti, erodono la base elettorale del centro destra, impauriscono il blocco sociale di riferimento. Esattamente come accade sul terreno fiscale, ove sotto l’insegna della lotta all’evasione si fanno passare sceneggiate che inducono gli elettori minacciati a dire: non voterò più chi consente questa roba. E sono voti di destra.

Monti è un autentico genio degli annunci. Come capita all’oratore che esordisce dicendo “sarò breve”, e poi attacca un sermone interminabile, così lui annunciò che non avrebbe fatto annunci, salvo produrne di assai efficaci. I fatti, fin qui, si chiamano “tasse”. Il resto sono indirizzi e proponimenti, che s’introducono nelle famiglie elettorali dei due grossi partiti dimostrando l’inutilità degli eletti. Il governo Monti è, in questa fase della legislatura, il meglio di cui si possa disporre. Ma cosa succederà dopo? Se le grosse forze politiche vanno al giudizio degli elettori in queste condizioni la loro credibilità e la loro utilità saranno così basse da far crescere sia l’astensione che il peso specifico delle forze antagoniste. Siccome vedono avvicinarsi il baratro, reagiscono in modo irragionevole: a. sollecitano Monti a far del male agli altri (la destra pungolandolo sull’articolo 18, la sinistra chiedendo vendetta giudiziaria), non rendendosi conto che li accontenterà e cancellerà entrambi; b. provano ad appropriarsi di Monti stesso, rivendicandone la paternità, non rendendosi conto che chi si aggiudica il figliuolo sarà elettoralmente occupato, mentre chi lo rinnega sarà sconfitto.

Avessero idee, testa e stoffa capirebbero al volo la necessità di rendere pubblico un accordo fra di loro, teso a riformare il sistema elettorale (il premio di maggioranza favorirà gli occupanti) e annunciare un minimo comun denominatore nella gestione della crisi, quindi un patto che non faccia venire meno il bipolarismo, ma si estenda alla prossima legislatura. Anche con impegni di ordine costituzionale. Invece puntano su quel che resta della loro smunta identità e riconoscibilità, restando assieme nel sostenere Monti, ma non cessando di cercare il massimo comun divisore. Il risultato già si vede: il suicidio della politica. Peccato nuoccia alla salute della democrazia.

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