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Le armi chimiche a Gioia Tauro

Solo polemiche pretestuose

Veleni per il porto calabrese ne passano tanti. E quelli siriani non sono i più nocivi

di Davide Giacalone - 20 gennaio 2014

Che le armi chimiche siriane, avviate alla distruzione, sbarchino nel porto italiano di Gioia Tauro non è solo ragionevole, è anche un bene. Così come è occasione per chiarirci le idee circa l’articolazione istituzionale delle autonomie locali. Che si chiedano informazioni sulla sicurezza dell’operazione è non solo lecito, ma opportuno. Che si supponga di potere sottrarre un pezzo d’Italia alla sovranità nazionale, per consegnarla alla sovranità regionale, municipale o circoscrizionale, è inaccettabile, oltre che privo di senso.

La consegna, da parte dei siriani, delle armi chimiche (se tutte, in che tempi e con quali controlli è questione rilevante, ma diversa) è un fatto positivo. All’operazione l’Italia partecipa finanziandola con 3 milioni. Non è una gran cifra, ma è anche vero che in Siria non abbiamo gli interessi di altri e non è una bella cosa essere chiamati solo per sganciare, senza avere alcun ruolo. Per questo l’uso di un porto italiano è da valutarsi positivamente: a. oltre a pagare portiamo qui attività e lavoro, facendoci pagare; b. gestiamo un passaggio dell’operazione; c. quel porto non è evocato, nella nostra storia nazionale, solo a memoria dei soldi ben spesi e degli investimenti ben fatti, sicché torna utile dimostrare al mondo che funziona bene.

Questo terzo è un punto rilevante: siamo sicuri che a Gioa Tauro la cosa possa essere gestita con professionalità e sicurezza? Sì, perché lo fanno di mestiere e spesso. Anzi, sostanze altrettanto, se non più pericolose vengono normalmente trattate senza lo schieramento, nazionale e internazionale, di sicurezza che ci sarà in questo caso.

I comuni della zona si sono mobilitati, lamentando di non essere stati informati per tempo e minacciando di ostacolare il lavoro. Ma da quando in qua si devono informare i comuni per operazioni di politica estera e per lavori portuali che normalmente si fanno e su cui nessuno ha avuto da ridire? E se pensano di frapporre quale che sia ostacolo (spero proprio non ci abbiano mai pensato), non c’è che da affidare la pratica alle forze dell’ordine. Il presidente della Regione è stato attaccato, perché si suppone che sapesse, ma abbia taciuto. Lui risponde che no, non sapeva e, pertanto, è indignato. Purtroppo la sventurata riforma del Titolo quinto della Costituzione (voluta e realizzata dal Pd, oggi giustamente detestata dal segretario del Pd, che preme per la riforma, ma deve dirlo e rimproverarlo ai suoi), ha assegnato alle regioni materie che le portano ad avere spese tipiche della politica estera, con sedi all’estero e partecipazione diretta a eventi internazionali. Vale per il turismo come per l’internazionalizzazione. Ciò ha prodotto sprechi e disfunzioni. Sta di fatto, però, che la politica estera non è stata regionalizzata, né la sovranità nazionale abrogata. Quindi calma con l’indignazione e ciascuno si occupi di quel che gli compete.

Devono tacere e accettare? No, possono ben chiedere di sapere con quali criteri si procederà e se ci sono dei rischi per la popolazione. Questo è nei loro doveri e poteri. Nulla di più, perché sarebbe grottesco, e nulla di meno, perché sarebbe umiliante.

Una delle ragioni per cui l’Italia annaspa in una crisi infinita consiste nel fatto che ogni occasione è buona per animare polemiche tanto devastanti quanto inutili; la faziosità politica usa ogni cosa pur di scagliarsi contro l’avversario, con il risultato che, a turno, tutti si scagliano contro lo Stato; e in ogni pagina della nostra vita nazionale si vuol leggere lo scandalo e, quindi, il ruolo redimente dei moralizzatori, con il risultato che il libro di storia nazionale è sempre più scritto da magistrati, a tal ruolo da nessuna legge preposti e da nessun elettore delegati. Se sulla nave americana si potessero caricare anche questi veleni, che c’intossicano e rincitrulliscono, non sarebbe male.

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