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Public Policy

Mai dalla parte dei violenti

Solidarietà e prudenza

Alcuni errori esiziali non giutificano i tafferugli di Torino

di Davide Giacalone - 22 aprile 2012

Prima di tutto la nostra solidarietà ai ministri Elsa Fornero e Francesco Profumo, fatti oggetto di una inammissibile aggressione nel mentre prendevano parte, nella loro città, Torino, ad una manifestazione pubblica. La carica della polizia ha disperso i violenti, speriamo ora si sia in grado d’identificarli e portarli davanti alla giustizia, perché rispondano della loro condotta. Una solidarietà senza distinguo, totale. Come deve essere in un Paese civile, nel quale sono consentite le contestazioni e le critiche, anche dure nei contenuti, ma non i tafferugli. Nulla di ciò che è accaduto deve essere giustificato, perché se s’imbocca quella china poi si perde il controllo della situazione. Non chiediamo punizioni esemplari, ma secondo giustizia. Deve prevalere il diritto, essendo l’unica via capace di consentire la difesa dei diritti. Alla solidarietà aggiungo la speranza che sia chiaro a tutti, ed al governo per primo, che non ha alcun senso aizzare gli animi, senza poi portare a conclusione riforme importanti, serie e coerenti del mercato del lavoro. Terreno sul quale, è bene non tacerlo, sono stati commessi degli errori. Il ministro Fornero aveva annunciato cambiamenti che poi si sono via via annacquati, fino a perdere gran parte del loro significato. Ella ha ieri invocato un’Italia più costruttiva e collaborativa. Ha ragione, e noi non abbiamo fatto mancare il nostro consenso quando si è preso l’impegno di rendere più elastico e dinamico il mondo del lavoro, rendendolo permeabile sia in ingresso che in uscita, sia nelle assunzioni che nei licenziamenti. Il che doveva servire a diminuire il costo del lavoro che grava sulle imprese e a offrire possibilità concrete ai giovani, la cui disoccupazione è elevatissima, incarnando un insuccesso e uno spreco che non possiamo permetterci. Ma, alla prova dei fatti, si era annunciata una riforma da prendere o lasciare, sulla quale, come era avvenuto per le pensioni, il governo era pronto a giocare la propria stessa esistenza, salvo poi essere tornati al metodo concertativo, utilizzando un iter parlamentare lungo e incerto, aumentando lo spessore del cuneo fiscale, aggravando gli oneri in capo alle piccole imprese, sminuendo l’annunciata riforma dell’articolo 18 dello statuto dei lavoratori, portando nuovi elementi di possibile contenzioso giudiziario, quindi aumentando l’incertezza e l’imprevedibilità del sistema, e indebolendo significativamente le tipologie contrattuali che avrebbero dovuto favorire le assunzioni (è quello il vero problema). Tutto questo è sbagliato e pericoloso, perché s’ingenera paura, si suscitano opposizioni e, poi, non si porta a casa il risultato.

Il governo Monti, la cui natura è commissariale, si appoggia su una maggioranza parlamentare vasta, che comprende partiti fin qui considerati alternativi gli uni agli altri. Ciò non deve indurre alla mediazione, ma all’azione veloce. Perché se gli interessi danneggiati non trovano rappresentanza, se l’opposizione è incarnata solo da gruppi che lavorano a scassare tutto, è evidente che si deve considerare il tempo un bene prezioso. E limitato. A questo errore se ne sono aggiunti altri. E’ apparso evidente, fin dall’inizio, che il capitolo degli “esodati” (termine orrendo) si sarebbe dovuto affrontarlo con una norma transitoria. Il sottosegretario Gianfranco Polillo lo aveva detto, ma era stato subissato dalle critiche dei colleghi, che ora, par di capire, si ricredono. Ma in modo sbagliato. Quei lavoratori non hanno nulla da rimproverarsi, come anche le aziende presso cui lavoravano: la loro sorte era stata decisa in conformità alle leggi vigenti, cercando per loro tutte le possibili garanzie. Il tempo che li divideva dalla pensione era protetto. Nel momento in cui si fa cadere quella protezione (ed è giusto) si deve offrire loro una copertura transitoria, né si può pensare di risolvere la questione facendoli tornare indietro, perché questo vorrebbe dire scaricare sulle imprese un errore del governo. Ancora oggi non si sa come andrà a finire, ed è gravissimo, perché così si soffia su un fuoco imprevedibile, che ieri, a Torino, è avvampato. I membri del governo, presidente del Consiglio in testa, hanno tutto il diritto di partecipare a pubblici raduni ed esprimersi, ma devono avere la saggezza di non cadere in un equivoco: parlare serve a spiegare e costruire il consenso, che in democrazia si misura con il voto, non con i sondaggi. Il loro ruolo comporta onori, ma anche oneri. Dire: governo ma non mi sottopongo al giudizio degli elettori è tesi estranea alla democrazia, da amministrarsi con molta prudenza.

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