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Segnali di ripresa dell'economia

Sogniamo o siam desti?

Qualche piccolo segnale positivo c'è. Ma potrebbe essere controproducente

di Enrico Cisnetto - 31 luglio 2013

C’è o non c’è? L’idea che la ripresa sia dietro l’angolo comincia a farsi strada, suffragata più dalla speranza e dalla convinzione che prima o poi questa maledetta recessione dovrà pur finire – a fine anno saranno 16 i trimestri in rosso a partire dal 2008, quattro anni su sei – che non dai dati di fatto, basati su segnali debolissimi e perfino contraddittori. Uno di questi ultimi, per esempio, prende a conforto l’inversione di tendenza che si è registrata a maggio e giugno nell’apertura di nuovi negozi, con un saldo positivo rispetto a quelli chiusi. Ora, è ovvio che meglio questo del suo contrario, ma è altrettanto vero che in molti casi si tratta di un segno di disperazione di persone rimaste disoccupate – specie quelle over 40 e 50 – cui non resta altro che tentare di avviare una qualche attività commerciale per campare. Diverso, più consistente e concreto, è il miglioramento che a giugno si è registrato nella produzione industriale, negli ordini delle imprese e nell’export. Pur compensato da un ulteriore calo dei consumi e del numero degli occupati (in un anno sono quasi 400 mila unità in meno).

D’altra parte, Bankitalia si limita a dire che si nota “un’attenuazione della debolezza ciclica” (tradotto: andiamo sempre male, ma meno di prima), mentre Confindustria parla un pochino più ottimisticamente di “ripresa in vista, ma a passo lento”. È la politica che spende parole più impegnative, ma si sa che la credibilità di quelle voci è comunque pari a zero. Inoltre, il clima di sfiducia non si allenta: l’emorragia delle imprese in difficoltà non accenna ad attenuarsi, complice anche il perdurare del credit crunch, mentre la pressione fiscale accompagnata da una crescente criminalizzazione degli imprenditori e in generale della ricchezza, blocca gli investimenti e i consumi anche laddove ce ne sarebbero le condizioni. Insomma, qualche piccolo segnale di ripresa c’è, ma paradossalmente il rischio è che venga inficiato dal fatto che gli italiani non ci credono. L’economia è fatta anche e soprattutto di aspettative, e la psicologia negativa in questa fase non aiuta a scrollarsi di dosso la recessione.

La speranza maggiore – visto il perdurante impasse della politica, incapace di esprimere un minimo di disegno strategico e vittima di una quotidianità fitta di questioni inutili, dagli orango di Calderoli al caso kazako – viene da ciò che sta oltre i nostri confini. In particolare, è affidata al fatto che fra meno di due mesi la Germania si recherà alle urne, ed è lecito pensare che ne uscirà un governo, magari di grande coalizione, più propenso a fare politiche per la crescita di quanto finora non sia stato. Se Draghi non sarà lasciato solo, e se il processo di integrazione politico-istituzionale dell’eurozona prenderà minimamente corpo, allora molte cose sono destinate a cambiare. E a travolgere anche le inerzie dei diversi paesi del club dell’euro.

In mancanza, tutto dipenderà solo da noi. E allora tornerà in ballo la questione di fondo: il sistema politico e quello istituzionale saranno finalmente capaci di produrre governo, anziché indecisionismo come finora è stato? E qui rischia di (ri)cascare l’asino. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.