L’intervento del presidente all’incontro di ieri
Società Aperta: ora la Costituente!
A quasi un mese dalle elezioni, il mondo politico non riconosce l’ingovernabilitàdi Enrico Cisnetto - 05 maggio 2006
E’ passato quasi un mese dalle elezioni, ma non ci si è messi ancora d’accordo sull’esito del voto. Aritmeticamente, il centrosinistra ha conquistato la maggioranza dei voti, risicata ma pienamente legittima. Dal punto di vista politico, invece, il risultato è inequivocabilmente stato un pareggio. Nel senso che le elezioni le hanno perse entrambi i poli e soprattutto entrambi i candidati premier. Infatti, al termine di una campagna elettorale da “guerra civile”, nessuna delle due coalizioni ha raggiunto il 50% e nessuno dei due leader può dire di aver superato l’altro, nonostante abbiano trasformato la consultazione per eleggere il Parlamento in un improprio referendum sulla loro persona.
Questo significa che è politicamente impraticabile – e moralmente irresponsabile – pensare che le cose stiano diversamente, come fa Prodi facendo finta di aver vinto e Berlusconi ostinandosi a non prendere atto di aver perso.
D’altra parte, l’Italia è un paese complicato da governare con una maggioranza netta di seggi (come ha ampiamente dimostrato l’ultima legislatura), figuriamoci come si possa farlo con uno 0,06% in più. E le modalità di elezione di Marini alla presidenza del Senato testimoniano con chiarezza che il centro-sinistra, fin dalla prima occasione, non è stato in grado – e tantomeno lo sarà in seguito – di mantenere compatta la sua esile maggioranza.
Inoltre, tanto Prodi quanto Berlusconi hanno perso la loro gara anche sul terreno delle aspettative: l’uno perchè ha tradito quelle di una vittoria piena del centro-sinistra, legittimate dai sondaggi, l’altro perchè ha dovuto rincorrere l’avversario nonostante abbia potuto governare cinque anni pieni avendo una maggioranza mai così larga nella storia della Repubblica.
Il pareggio non vuol dire che il Paese sia spaccato a metà. O meglio, lo è solo elettoralmente. Intendo dire che se sommiamo gli elettori di Forza Italia, Udc, Margherita, Udeur, Rosa nel pugno e di una buona parte di An e Ds, il risultato fa 65-70%. E gli italiani che hanno votato così sono sostanzialmente omogenei tra loro – almeno sui grandi principi – o comunque lo sono rispetto a quel terzo di cittadini che hanno scelto comunisti, fascisti, secessionisti, giustizialisti e ambientalisti del “no a tutto”.
Il vero problema è che il nostro sistema politico, sorretto da una pessima legge elettorale (come quella di prima, peraltro), costringe questa grande maggioranza di cittadini a dividersi tra due poli artificiali, a loro volta costretti a imbarcare partiti e partitini che rappresentano la minoranza dell’elettorato per vincere le elezioni, regalando alle “ali” una pesante capacità di “ricatto politico”. Da qui nasce l’ingovernabilità, ed è solo dando ai due terzi degli elettori “sostanzialmente omogenei” una rappresentanza politica adeguata che si può fermare il declino del Paese.
Naturalmente mi rendo conto che dentro quella “sostanziale omogeneità” ci sono differenze anche profonde: laici e cattolici (una distinzione che a giudizio di Società Aperta va ricondotta fuori dai programmi di governo e di coalizione), moderati e riformisti, conservatori e modernizzatori. E che ci sono differenze (in qualche caso conflitti) che attengono agli interessi, non facilmente componibili.
Ma in questo momento la necessità di superare il collasso del sistema bipolare, causa prima dell’ingovernabilità – nel senso di mancanza di scelte strategiche, non di durata dei governi e delle legislature – viene prima di qualunque altra considerazione. E per ottenere questo risultato – propedeutico ad un fisiologico sistema di alternanza, cui certo non vogliamo rinunciare, ma che in questi anni abbiamo avuto solo in forma virtuale – non rimane che la Grande Coalizione, in questa fase l’unico antidoto all’ingovernabilità o a un’inaccettabile “ritorno alle urne”.
A proposito di quest’ultima ipotesi, visto che è stata rilanciata con faciloneria anche da molti intellettuali e opinionisti, è bene essere oltremodo chiari: chiedere agli italiani – che hanno votato in massa (anche se non nella misura record che è stata sbandierata) e in assoluto ordine nonostante la tossine di odio messe in circolo durante la campagna elettorale – di tornare a votare se Prodi non partirà neppure o se, come è probabile, cadrà ad una delle prime curve del suo percorso, è a dir poco vergognoso.
Guardate, gli italiani non solo hanno appena votato, ma lo hanno fatto pure intelligentemente: il pareggio non premia nessuno e tutti sono messi nella condizione di concorrere a chiudere questa maledetta Seconda Repubblica, che rappresenta la peggior stagione politica dal dopoguerra in poi, sia per scarso valore qualitativo della classe dirigente sia per povertà di risultati ottenuti, dall’economia alla giustizia.
Dunque, non è pensabile che qualche mese dopo aver votato in modo chiaro, gli italiani vengano richiamati alle urne. A fare che? Perchè dovrebbero aver cambiato idea? I cittadini hanno scelto il pareggio, la Politica ne prenda atto e trovi le soluzioni. E’ il suo mestiere.
Prima del voto, Società Aperta ha detto chiaramente che non si sarebbe schierata né con Prodi né con Berlusconi, emblemi del bipolarismo fallito. Allo stesso modo, oggi, diciamo che né Prodi né Berlusconi possono essere i protagonisti di quella fase di transizione tra Seconda e la Terza Repubblica che abbiamo chiamato Grande Coalizione.
Per questo occorre che le componenti dialoganti dei due poli facciano prevalere la ragionevolezza, mettendosi intorno ad un tavolo per fare in modo che questo bipolarismo fallimentare non faccia altri danni.
Ci vuole quel coraggio che è mancato nell’ultimo anno, quando si poteva costruire una terza forza che rompesse il gioco bipolare, o almeno si poteva evitare che fossero ancora, dieci anni dopo, i due leader settantenni del centro-destra e del centro-sinistra a presentarsi al giudizio degli italiani. Ora c’è il supporto elettorale a dare coraggio a chi non l’ha avuto, il pareggio è una scelta “intelligente” proprio perchè legittima iniziative che fino a ieri apparivano – sbagliando, e a danno del Paese – troppo audaci.
Figura indispensabile per agevolare la transizione politica sarà il nuovo Capo dello Stato. Per questo fatico a pensare, come invece si afferma con banale ripetitività in queste ore, che per il Quirinale serva una presidenza di garanzia. Il tema non è garantire imparzialità tra due coalizioni che si delegittimano, ma impedire che il sistema politico produca sistematicamente ingovernabilità. Per questo c’è bisogno di un Capo dello Stato che abbia il coraggio e la forza di aiutare il bipolarismo all’italiana a superare la propria impasse, a trasformarsi. Occorre una personalità autorevole che chiuda la Seconda Repubblica (evitando che lo facciano i magistrati), e apra la Terza assecondando il passaggio politico di ridefinizione di partiti e alleanze e la riscrittura delle regole che ne sono la premessa.
Il miglior modo per iniziare la ricerca di intese più larghe è mettersi d’accordo sulla necessità di un’Assemblea Costituente, l’unico luogo deputato alla riscrittura delle regole condivise.
Per aprire una nuova stagione politica c’è bisogno di rifondare su nuove basi il sistema politico, di modernizzare le istituzioni – bloccando le revisioni della Costituzione a colpi di maggioranza e la deriva di un federalismo lacerante e moltiplicatore di costi – di rinnovare profondamente la classe dirigente, di ritrovare la strada dello sviluppo economico. Obiettivi perseguibili solo con un’Assemblea Costituente che, grazie al mandato popolare e l’alto valore anche simbolico che la sua convocazione 60 anni dopo avrebbe, disporrebbe dell’autorevolezza necessaria ad affrontare organicamente tutte le questioni che attengono alle regole comuni e alla funzionalità delle istituzioni pubbliche.
La sua convocazione, inoltre, risponderebbe alle conseguenze del prossimo referendum del 25 giugno sulla devolution. Sia nel caso di una vittoria del No – risultato che noi auspichiamo e che pronostichiamo come più probabile – sia a maggior ragione di una vittoria del Sì, c’è infatti bisogno di sanare le ferite inferte in questi anni alla carta costituzionale. La conferma della devolution o il ritorno alla riforma del titolo V della Costituzione – entrambe pessime nel merito e per il metodo con cui sono state a suo tempo approvate – richiedono in egual misura un lavoro ricostruttivo di un’assemblea dedicata.
Infine, c’è una motivazione squisitamente politica per chiamare i cittadini ad eleggere i Costituenti: dare un senso ad una legislatura che tutti – forse un po’ cinicamente ma con sano realismo – giudicano “corta” ma che non potrà certo esaurirsi nell’ultimo giro di walzer di Prodi.
Sappiamo che intorno a questa idea – che in tempi non sospetti Società Aperta ha lanciato per prima – ci sono convergenze, ammiccamenti, intenzioni riduttive come quella di un’ennesima Bicamerale o di una Convenzione eletta dal Parlamento. Sappiamo anche che altri immaginano di agire su un punto certo decisivo come quello della legge elettorale, ma pur sempre parziale rispetto al nostro disegno politico-istituzionale. Comprendiamo i se e i ma che talvolta ci vengono avanzati, e siamo attenti ad ogni posizione e contributo che vada nella direzione del cambiamento.
Ma per le ragioni che abbiamo cercato di spiegare, noi crediamo che sia giunto il momento di offrire al Paese una chance di trasformazione profonda.
L’Italia è vittima di un declino strutturale pericolo, di una crisi di futuro senza precedenti, e in questo momento deve prevalere il senso di responsabilità. Il quale non è rappresentato né da chi fa finta di avere i numeri e la forza per governare, né da chi continua a soffiare sul fuoco della delegittimazione dell’avversario. Il senso di responsabilità è dire la verità al Paese, e chiedergli uno sforzo comune per ritrovare la fiducia e la speranza.
Per questo Società Aperta sollecita tutti coloro che hanno a cuore le sorti della casa comune a dar vita ad un’iniziativa che induca il nuovo Parlamento a convocare l’Assemblea Costituente per la Rinascita dell’Italia.
Questo significa che è politicamente impraticabile – e moralmente irresponsabile – pensare che le cose stiano diversamente, come fa Prodi facendo finta di aver vinto e Berlusconi ostinandosi a non prendere atto di aver perso.
D’altra parte, l’Italia è un paese complicato da governare con una maggioranza netta di seggi (come ha ampiamente dimostrato l’ultima legislatura), figuriamoci come si possa farlo con uno 0,06% in più. E le modalità di elezione di Marini alla presidenza del Senato testimoniano con chiarezza che il centro-sinistra, fin dalla prima occasione, non è stato in grado – e tantomeno lo sarà in seguito – di mantenere compatta la sua esile maggioranza.
Inoltre, tanto Prodi quanto Berlusconi hanno perso la loro gara anche sul terreno delle aspettative: l’uno perchè ha tradito quelle di una vittoria piena del centro-sinistra, legittimate dai sondaggi, l’altro perchè ha dovuto rincorrere l’avversario nonostante abbia potuto governare cinque anni pieni avendo una maggioranza mai così larga nella storia della Repubblica.
Il pareggio non vuol dire che il Paese sia spaccato a metà. O meglio, lo è solo elettoralmente. Intendo dire che se sommiamo gli elettori di Forza Italia, Udc, Margherita, Udeur, Rosa nel pugno e di una buona parte di An e Ds, il risultato fa 65-70%. E gli italiani che hanno votato così sono sostanzialmente omogenei tra loro – almeno sui grandi principi – o comunque lo sono rispetto a quel terzo di cittadini che hanno scelto comunisti, fascisti, secessionisti, giustizialisti e ambientalisti del “no a tutto”.
Il vero problema è che il nostro sistema politico, sorretto da una pessima legge elettorale (come quella di prima, peraltro), costringe questa grande maggioranza di cittadini a dividersi tra due poli artificiali, a loro volta costretti a imbarcare partiti e partitini che rappresentano la minoranza dell’elettorato per vincere le elezioni, regalando alle “ali” una pesante capacità di “ricatto politico”. Da qui nasce l’ingovernabilità, ed è solo dando ai due terzi degli elettori “sostanzialmente omogenei” una rappresentanza politica adeguata che si può fermare il declino del Paese.
Naturalmente mi rendo conto che dentro quella “sostanziale omogeneità” ci sono differenze anche profonde: laici e cattolici (una distinzione che a giudizio di Società Aperta va ricondotta fuori dai programmi di governo e di coalizione), moderati e riformisti, conservatori e modernizzatori. E che ci sono differenze (in qualche caso conflitti) che attengono agli interessi, non facilmente componibili.
Ma in questo momento la necessità di superare il collasso del sistema bipolare, causa prima dell’ingovernabilità – nel senso di mancanza di scelte strategiche, non di durata dei governi e delle legislature – viene prima di qualunque altra considerazione. E per ottenere questo risultato – propedeutico ad un fisiologico sistema di alternanza, cui certo non vogliamo rinunciare, ma che in questi anni abbiamo avuto solo in forma virtuale – non rimane che la Grande Coalizione, in questa fase l’unico antidoto all’ingovernabilità o a un’inaccettabile “ritorno alle urne”.
A proposito di quest’ultima ipotesi, visto che è stata rilanciata con faciloneria anche da molti intellettuali e opinionisti, è bene essere oltremodo chiari: chiedere agli italiani – che hanno votato in massa (anche se non nella misura record che è stata sbandierata) e in assoluto ordine nonostante la tossine di odio messe in circolo durante la campagna elettorale – di tornare a votare se Prodi non partirà neppure o se, come è probabile, cadrà ad una delle prime curve del suo percorso, è a dir poco vergognoso.
Guardate, gli italiani non solo hanno appena votato, ma lo hanno fatto pure intelligentemente: il pareggio non premia nessuno e tutti sono messi nella condizione di concorrere a chiudere questa maledetta Seconda Repubblica, che rappresenta la peggior stagione politica dal dopoguerra in poi, sia per scarso valore qualitativo della classe dirigente sia per povertà di risultati ottenuti, dall’economia alla giustizia.
Dunque, non è pensabile che qualche mese dopo aver votato in modo chiaro, gli italiani vengano richiamati alle urne. A fare che? Perchè dovrebbero aver cambiato idea? I cittadini hanno scelto il pareggio, la Politica ne prenda atto e trovi le soluzioni. E’ il suo mestiere.
Prima del voto, Società Aperta ha detto chiaramente che non si sarebbe schierata né con Prodi né con Berlusconi, emblemi del bipolarismo fallito. Allo stesso modo, oggi, diciamo che né Prodi né Berlusconi possono essere i protagonisti di quella fase di transizione tra Seconda e la Terza Repubblica che abbiamo chiamato Grande Coalizione.
Per questo occorre che le componenti dialoganti dei due poli facciano prevalere la ragionevolezza, mettendosi intorno ad un tavolo per fare in modo che questo bipolarismo fallimentare non faccia altri danni.
Ci vuole quel coraggio che è mancato nell’ultimo anno, quando si poteva costruire una terza forza che rompesse il gioco bipolare, o almeno si poteva evitare che fossero ancora, dieci anni dopo, i due leader settantenni del centro-destra e del centro-sinistra a presentarsi al giudizio degli italiani. Ora c’è il supporto elettorale a dare coraggio a chi non l’ha avuto, il pareggio è una scelta “intelligente” proprio perchè legittima iniziative che fino a ieri apparivano – sbagliando, e a danno del Paese – troppo audaci.
Figura indispensabile per agevolare la transizione politica sarà il nuovo Capo dello Stato. Per questo fatico a pensare, come invece si afferma con banale ripetitività in queste ore, che per il Quirinale serva una presidenza di garanzia. Il tema non è garantire imparzialità tra due coalizioni che si delegittimano, ma impedire che il sistema politico produca sistematicamente ingovernabilità. Per questo c’è bisogno di un Capo dello Stato che abbia il coraggio e la forza di aiutare il bipolarismo all’italiana a superare la propria impasse, a trasformarsi. Occorre una personalità autorevole che chiuda la Seconda Repubblica (evitando che lo facciano i magistrati), e apra la Terza assecondando il passaggio politico di ridefinizione di partiti e alleanze e la riscrittura delle regole che ne sono la premessa.
Il miglior modo per iniziare la ricerca di intese più larghe è mettersi d’accordo sulla necessità di un’Assemblea Costituente, l’unico luogo deputato alla riscrittura delle regole condivise.
Per aprire una nuova stagione politica c’è bisogno di rifondare su nuove basi il sistema politico, di modernizzare le istituzioni – bloccando le revisioni della Costituzione a colpi di maggioranza e la deriva di un federalismo lacerante e moltiplicatore di costi – di rinnovare profondamente la classe dirigente, di ritrovare la strada dello sviluppo economico. Obiettivi perseguibili solo con un’Assemblea Costituente che, grazie al mandato popolare e l’alto valore anche simbolico che la sua convocazione 60 anni dopo avrebbe, disporrebbe dell’autorevolezza necessaria ad affrontare organicamente tutte le questioni che attengono alle regole comuni e alla funzionalità delle istituzioni pubbliche.
La sua convocazione, inoltre, risponderebbe alle conseguenze del prossimo referendum del 25 giugno sulla devolution. Sia nel caso di una vittoria del No – risultato che noi auspichiamo e che pronostichiamo come più probabile – sia a maggior ragione di una vittoria del Sì, c’è infatti bisogno di sanare le ferite inferte in questi anni alla carta costituzionale. La conferma della devolution o il ritorno alla riforma del titolo V della Costituzione – entrambe pessime nel merito e per il metodo con cui sono state a suo tempo approvate – richiedono in egual misura un lavoro ricostruttivo di un’assemblea dedicata.
Infine, c’è una motivazione squisitamente politica per chiamare i cittadini ad eleggere i Costituenti: dare un senso ad una legislatura che tutti – forse un po’ cinicamente ma con sano realismo – giudicano “corta” ma che non potrà certo esaurirsi nell’ultimo giro di walzer di Prodi.
Sappiamo che intorno a questa idea – che in tempi non sospetti Società Aperta ha lanciato per prima – ci sono convergenze, ammiccamenti, intenzioni riduttive come quella di un’ennesima Bicamerale o di una Convenzione eletta dal Parlamento. Sappiamo anche che altri immaginano di agire su un punto certo decisivo come quello della legge elettorale, ma pur sempre parziale rispetto al nostro disegno politico-istituzionale. Comprendiamo i se e i ma che talvolta ci vengono avanzati, e siamo attenti ad ogni posizione e contributo che vada nella direzione del cambiamento.
Ma per le ragioni che abbiamo cercato di spiegare, noi crediamo che sia giunto il momento di offrire al Paese una chance di trasformazione profonda.
L’Italia è vittima di un declino strutturale pericolo, di una crisi di futuro senza precedenti, e in questo momento deve prevalere il senso di responsabilità. Il quale non è rappresentato né da chi fa finta di avere i numeri e la forza per governare, né da chi continua a soffiare sul fuoco della delegittimazione dell’avversario. Il senso di responsabilità è dire la verità al Paese, e chiedergli uno sforzo comune per ritrovare la fiducia e la speranza.
Per questo Società Aperta sollecita tutti coloro che hanno a cuore le sorti della casa comune a dar vita ad un’iniziativa che induca il nuovo Parlamento a convocare l’Assemblea Costituente per la Rinascita dell’Italia.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.