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Le nuove regole di Basilea 3

Siamo fuori dal tunnel?

Buone notizie dai mercati per l'Italia, ma la crisi politica non ci fa star tranquilli

di Enrico Cisnetto - 01 aprile 2011

Consiglio terapeutico per chi soffre di fronte al manifestarsi di una crisi politico-istituzionale per la quale non c’è più aggettivo sufficiente: distogliere lo sguardo dalle notizie che giungono dalle aule parlamentari e dai palazzi della politica e rivolgerlo verso le news Reuters provenienti dai mercati europei dei titoli di stato.

Non si tratta di godere delle disgrazie altrui, ma certo c’è di che sorridere a vedere i bond portoghesi che pagano tassi d’interesse dell’8,35% e marcano un differenziale con i bund tedeschi decennali di oltre 500 punti base, e osservare i rendimenti dei titoli irlandesi a due anni schizzare al 9,78% e gli spread volare a 687 punti – in entrambi i casi facendo presagire un default prossimo, a meno di interventi Ue di salvataggio – e nello stesso guardare sui monitor i nostri Btp che invece vengono piazzati egregiamente in asta (l’ultima di oltre 9 miliardi), pure con tassi in discesa e con lo spread che si mantiene sul crinale (relativamente tranquillo) dei 150 punti base. Insomma, in Europa la crisi da eccesso di debiti sovrani non si è esaurita con la vicenda greca e il primo inciampo di Dublino, tant’è vero che la speculazione continua a tenere l’eurosistema sotto schiaffo.

Ma da questa spirale maledetta l’Italia è fuori. Nonostante che da Roma, sul piano della politica interna e internazionale, giungano messaggi non meno inquietanti di quelli che, per esempio, negli ultimi giorni sono arrivati da Lisbona, con la crisi del governo guidato dal socialista José Socrates, che non è riuscito a far passare un piano di riduzione del deficit che pure aveva trovato particolare apprezzamento in sede europea, perché l’opposizione (il Psd di Pedro Passos Coelho, centrodestra), non ha avuto scrupoli nel cavalcare la protesta per gli inevitabili provvedimenti impopolari che questo piano di rientro avrebbe comportato.

Certo, le condizioni della finanza pubblica portoghese e irlandese sono decisamente peggiori della nostra: a Lisbona il debito viaggia verso l’88% del pil e il deficit, pur sceso all’8,6% del pil nel 2010 dal 9,4% del 2009, deve essere tagliato al 4,6% quest’anno, al 3% nel 2012 e al 2% nel 2013; Dublino, che ha appena calcolato in 24 miliardi la ricapitalizzazione necessaria alle sue banche per evitare crack, possiede il non invidiabile primato di secondo paese finanziariamente più rischioso del pianeta, preceduto solo dall’Argentina e seguito da Grecia, Venezuela e Portogallo.

Ma questo non toglie che anche noi si debba tenere gli occhi più che aperti e che alcune scelte coraggiose vadano fatte prima che sia troppo tardi. Intanto, per esempio, andrebbero valutate, con un dibattito pubblico ben più attento e marcato, le conseguenze per l’Italia del “patto per l’euro” che il Consiglio europeo del 24 e 25 marzo ha approvato. La nuova versione del “patto di stabilità e crescita” ci obbliga – per fortuna – non solo a mantenere gli impegni già presi in termini di contenimento del disavanzo, ma a raggiungere fin dal 2013 un avanzo primario del 5% e in tre anni (2013-2015) a tagliare il rapporto debito-pil di oltre 8 punti percentuali (come inizio di un lungo processo di riduzione massiccia dello stock di debito). Ma questo significa che, in costanza di una crescita intorno all’1% (pronosticata da tutti), occorrerà trovare un centinaio di miliardi. Senza contare che Bankitalia ha calcolato in 40 miliardi il fabbisogno delle banche italiane per adeguare i loro livelli patrimoniali alle nuove regole di Basilea3: arriveranno tutti dal mercato – che come abbiamo visto dalla violenta reazione all’aumento di capitale da 1 miliardo lanciato da Ubi, non ha alcuna voglia di mettere mano al portafoglio – o il Tesoro dovrà in qualche modo fare opera di soccorso, magari utilizzando la Cassa Depositi e Prestiti?

Per questo, la domanda inevitabile è: ci sono le condizioni, prima di tutto politiche, perché l’Italia riesca a rispettare gli impegni e dunque a tener lontana la speculazione dai suoi titoli di stato? Tremonti, cui va il merito di aver tenuto la barra dritta sui conti pubblici (rispetto a Berlusconi e alle tendenze irresponsabilmente spenderecce della coalizione di maggioranza), ha giustamente sottolineato il contributo arrivato da inediti risultati nella lotta all’evasione.

Ma, ovviamente, questo non basta. Occorrono scelte strutturali sulla spesa pubblica: sia di riduzione del suo ammontare sul pil (arrivato al 52%), sia di modifica della sua composizione, abbassando le componenti di spesa corrente e aumentando quelle per investimenti. Bisogna saper agire tanto sul numeratore (deficit e debito), quanto sul denominatore (pil). Già, ma lo capisce anche un bambino che la vischiosità della situazione politica e istituzionale, aggravata dalle divisioni su questioni non più solo di cortile, bensì sotto i riflettori del mondo, come la vicenda libica e più in generale del Mediterraneo, rende maledettamente complicato se non impossibile fare scelte che in circostanze ben più facili non si sono compiute. Ecco perché anche guardando le tabelle Reuters il sorriso dura solo un fuggevole momento.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.