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Consorterie: scontro senza precedenti

Sgombrando il campo dalle favole

Dagli interrogativi inquietanti su questo gioco al massacro, agli interventi prioritari

di Enrico Cisnetto - 14 aprile 2006

Tutti dicono che ora è un gran casino, con Prodi che fa finta di aver vinto e Berlusconi che non si rassegna ad aver perso. Vero, ma sono altre le cose che devono preoccupare, non il risultato elettorale. Per esempio, la scarcerazione di Fiorani e l’arresto di Provenzano in concomitanza delle elezioni, con il contorno di verbali di deposizione che parlano di incroci tra affari e politica e di “pizzini” che preannunciano clamorose rivelazioni, rappresentano una pura coincidenza o sono state regolate da un timer gestito da mani esperte? E il memoriale di Consorte – in cui tra quelli che lui chiama i “furbi del cotton club” ci sarebbero gli esponenti politici dell’Unione che più si sono battuti contro i “furbetti del quartierino” – è stato preannunciato proprio in queste ore perchè l’ex capo di Unipol ha finito di scriverlo solo ora? E quell’esultanza del pm Greco, durante un dibattimento relativo al caso Parmalat, alla notizia che gli italiani all’estero avevano dato al centro-sinistra anche il Senato, è solo un pur deprecabile eccesso di tifoseria, o fa presagire qualcosa di più e di diverso, magari consacrato dall’ingresso di Guido Rossi nel governo Prodi? E perchè, infine, tutti i giornali scrivono da settimane che il risiko bancario riprenderà con (ma si deve intendere dipenderà da) il dopo-voto?
Interrogativi inquietanti, che fanno temere un gioco al massacro di lobby e consorterie, uno scontro di interessi senza precedenti in cui il sentimento prevalente rischia di essere la voglia di vendetta. Altro che il “pareggio” del 9 e 10 aprile. Quello, intanto, è stato alla luce del sole, determinato da elezioni che si sono svolte in modo civile e ordinato nonostante una campagna elettorale da “guerra civile”. E poi, chi l’ha detto che si tratta di un accidente, o peggio di un errore commesso da un Paese diviso che qualche inetto vorrebbe costringere a tornare alle urne? Per prima cosa, sgombriamo il campo da una favola: l’Italia non è affatto spaccata in due. Provate a fare questa somma: Forza Italia, Udc, una buona parte di An, Margherita, Udeur, una buona parte dei Ds, la Rosa nel pugno. Il risultato fa 65-70%. Non sto parlando dei partiti, ma degli elettori: gli italiani che hanno votato così sono decisamente omogenei tra loro – sui grandi principi che devono orientare lo sviluppo della società: democrazia, ancoraggio occidentale, modernità, giusto mix tra diritti e opportunità, tra individuo e collettività – e comunque lo sono di gran lunga se messi a confronto con quelli che, a destra come a sinistra, hanno scelto le componenti più massimaliste. Certo, in quei due terzi di cittadini ci sono quelli più moderati e quelli più progressisti, i laici e i cattolici, i liberisti e i liberal-socialisti, ma di sicuro non ci sono comunisti e fascisti riconfermati, secessionisti sguaiati, ambientalisti teorici del no a tutto, giustizialisti vari. Certo non rappresentano un vero e proprio blocco sociale – d’altra parte, come potrebbe essere vista la progressiva atomizzazione, soprattutto del ceto medio? – ma il loro sistema di interessi è componibile, mediabile. La fregatura sta nel fatto che questa grande maggioranza di italiani non solo sono costretti a dividersi per via di un’offerta politica forzatamente contrapposta, ma quel che è peggio devono vivere nella più completa ingovernabilità. Infatti, la camicia di forza di un bipolarismo straccione fa confluire i loro voti in due coalizioni che, per vincere, hanno bisogno di quelle forze che rappresentano il restante 30-35%. Alle quali, leggi elettorali cervellotiche (questa come quella di prima) e un sistema politico demenziale regalano una capacità di “ricatto” che in nessun paese europeo è concessa alle “ali”. Così, in questi ultimi dodici anni (la Seconda Repubblica), ha vinto chi promette di più e aggrega una quantità maggiore di forze, salvo poi non essere in grado di soddisfare le aspettative suscitate e ritrovarsi schiavo delle minoranze di lotta e non di governo.
Allora, chi produce ingovernabilità non sono gli elettori, ma il sistema politico. Anzi, in questo quadro il “pareggio” – perchè tale è e resta il risultato di lunedì: non si governa senza neppure il 50% dei consensi e con uno scarto dello 0,006% – può essere utile a farci aprire gli occhi su ciò su cui dobbiamo prioritariamente intervenire.
E per un teorico ante-litteram della “grosse koalition” e dell’Assemblea Costituente quale sono, non può non farmi piacere constatare che, ex-post, s’ingrossano le fila del partito del dialogo e della convergenza, premesse indispensabili per riscrivere in modo condiviso le regole costituenti e smontare e rimontare un sistema politico che, pur salvaguardando l’obiettivo dell’alternanza, dia degna rappresentanza alla grande maggioranza degli italiani. Ma una cosa deve essere chiara, soprattutto a chi oggi si scopre pompiere dopo aver fatto a lungo il piromane: per cavare dal “pareggio” il succo che un voto così intelligente merita, Prodi e Berlusconi – che hanno voluto trasformare le elezioni per il Parlamento in un referendum presidenzialistico, perdendolo entrambi – devono andare a casa. E siccome non pare proprio che i due sappiano e vogliano capire la lezione data loro dagli italiani, sarà bene che i “dialoganti” delle due sponde – siano essi uomini politici, opinion leader od outsider – si assumano la responsabilità di farglielo intendere. Chi ha le palle le tiri fuori, please.

Pubblicato su Il Foglio del 14 aprile 2006

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