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Public Policy

Il dibattito su direttiva Bolkestein e liberalizzazioni

Sfrondare sì, ma col fioretto

Aprire i mercati per far crescere la ricchezza, ma senza rinunciare alla politica industriale

di Paolo Bozzacchi e Antonio Picasso - 18 ottobre 2005

Tornano di moda le liberalizzazioni nel dibattito politico italiano. Con la direttiva Bolkestein e il piano “Pico” per il rispetto dell’Agenda di Lisbona, varato dal governo sabato scorso, tutti le applaudono e le caldeggiano, ma pochi entrano nel merito o meglio fanno qualcosa per smuovere le acque. Quando si è trattato di privatizzare o liberalizzare sul serio, la storia recente del nostro Paese ha spesso riservato amare sorprese.

Rimangono infatti troppo forti le resistenze trasversali ad una seria apertura alla concorrenza e al mercato. Specialmente in settori tradizionalmente monopolistici o quasi, come i servizi pubblici, i trasporti (autostrade, ferrovie, voli di linea), l’energia elettrica e il gas.

E la politica, invece che biasimare quanto accade, da anni non fa che adeguarsi. Perciò ecco le ultime: Tremonti che dice “ni” alla direttiva Bolkestein, sottolineando che “il punto importante è quello delle tariffe professionali, mentre non sembra ragionevole una direttiva che fa circolare i professionisti con regole diverse”; la sinistra dell’Unione che scende in piazza bollando il provvedimento europeo come “liberticida” e Bersani che poco tempo fa offriva la mano tesa al governo per un “pacchetto immediato bipartisan”.

Liberalizzare i mercati sarebbe davvero un toccasana per l’economia. Secondo le stime del Sole 24 Ore ne potrebbe derivare un aumento della ricchezza nazionale fino a 50 miliardi di euro, senza contare gli effetti benefici che si avrebbero in termini di aumento della competitività per il sistema Paese. Addirittura meglio del completamento delle privatizzazioni dello Stato.

Ma liberalizzare a tutti i costi sarebbe comunque pericoloso, soprattutto in mancanza di reciprocità da parte degli altri paesi dell’Unione. Anche le politiche antitrust possono essere troppo rigide. come quelle operate a suo tempo dal commissario Mario Monti. La liberalizzazione dei mercati va dunque accompagnata da una politica industriale che faccia emergere i “campioni nazionali”, potenziali “campioni europei” nei vari settori.

Perciò se da una parte occorre senza dubbio favorire il processo che sembra bloccato e sul quale sia governo che opposizione tentennano perché gli interessi lesi coinvolgerebbero in primis se stessi e un’ampia parte dell’elettorato (azionisti, lavoratori dipendenti delle società coinvolte, enti locali proprietari di municipalizzate), dall’altra è necessario guardare in prospettiva, e operare con il fioretto piuttosto che con la sciabola, cercando di salvaguardare la parte sana e produttiva del capitalismo italiano.

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