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Il terrorismo si sconfigge solo agendo in rete

Serve un nuovo governo mondiale

Londra paga drammaticamente l’inefficienza del G8 e dell’Onu. E’ necessario cambiare

di Società Aperta - 08 luglio 2005

L’ineluttabilità di attentati prevedibili e previsti dai servizi di sicurezza, per i quali non ci si chiede “se” saranno portati a termine ma “quando”, è forse l’elemento più drammatico, dopo le immagini dei corpi straziati dalle esplosioni, di quanto accaduto a Londra. I discorsi di esecrazione degli attentati, assolutamente dovuti e inappuntabili, vanno però accompagnati da altri che facciano emergere il nodo più grosso di fronte al quale ci troviamo, quello politico. La tragica coincidenza tra le bombe e l’inizio del G8 presieduto da Blair, evidentemente voluta da chi ha elaborato l’attacco, deve infatti essere l’occasione per una riflessione sul quadro internazionale in cui ci siamo mossi e ci muoviamo dall’11 settembre del 2001, a partire dalla natura stessa del vertice dei “grandi” della Terra e dall’evoluzione che essa ha subito nel corso degli anni.

Nato nel 1975 da una riunione tra i leader delle sei nazioni “occidentali” più industrializzate svoltasi per contrastare la prima crisi petrolifera, e mai formalmente istituzionalizzato, il vertice ha subìto una progressiva perdita di capacità decisionale e di cogenza dei propri provvedimenti. Soprattutto a partire dagli anni Novanta, in coincidenza con la rivoluzione tecnologica e il fenomeno di globalizzazione dell’economia e dei flussi finanziari, si è assistito alla trasformazione del G7 (poi G8, in taluni casi G10) in un organismo consultivo, ridotto oggi ad una sorta di “fabbrica degli auspici”.

A ciò si è accompagnata la sostanziale perdita d’influenza strategica dell’Europa a livello internazionale, dovuta anche all’estrema lentezza politica e inadeguatezza dimensionale degli Stati-nazione e al mancato decollo degli Stati Uniti d’Europa. A tutto beneficio degli Usa – caratterizzati, a prescindere dal colore del governo in carica, da una politica fortemente legata al pragmatismo, soprattutto in campo economico – e di una potenza emergente come la Cina che, governata da un ferreo regime dall’inedito stampo comunista-liberista, può concentrarsi sull’espansione economica e sulla crescita della propria influenza a livello mondiale senza badare al problema del consenso e non avendo a che fare con alcun contropotere.

L’insieme di questi fenomeni, unitamente allo snaturamento dell’Onu, ha portato, in pratica, all’assenza di un luogo di concertazione delle politiche necessarie a livello planetario per garantire progresso, sicurezza e stabilità al consesso internazionale, ovvero ciò che sarebbe necessario ai fini del mantenimento delle possibilità di convivenza in un mondo ormai troppo piccolo, in tutti i sensi, per la popolazione che ospita.

Non abbiamo la ricetta della questione più complessa che il mondo si trova oggi ad affrontare. Ma sappiamo che fino a quando non si troverà un nuovo modo di rispondere alla necessità di decisioni globali condivise, che va al di là delle fasi di emergenza come il dopo 11 settembre o il dopo tsunami, non ci si potrà attendere un miglioramento delle condizioni di sicurezza del mondo occidentale. La soluzione va ricercata in un “governo mondiale” che sappia coniugare rappresentatività ed efficienza, e che per questo non si potrà riconoscere né nel modello oligarchico del G8 o della Commissione europea – i cui limiti sono evidenziati dall’assenza di rapporto diretto tra chi decide e chi subisce le decisioni, che stride con il modello di democrazia rappresentativa – né in quello consensuale dell’Onu, che ha dimostrato tutta la sua carenza sul terreno della prontezza, dell’efficienza e dell’adeguatezza delle decisioni prese rispetto alle necessità contingenti. Un equilibrio difficile da ottenere, ma che è assolutamente necessario ricercare con urgenza: i tragici fatti di Londra lo dimostrano, se mai ce ne fosse stato bisogno.

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