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E la finanza creativa ha ancora un grosso ruolo

Sei meno a Tremonti e alla Finanziaria

Scampato il pericolo d'una manovra elettorale, ma manca ancora la politica industriale

di P. Bozzacchi, A. D'Amato, A. Picasso - 17 ottobre 2005

Dipende tutto dagli occhiali che inforchi.
A rimirarla con l’occhio di chi guarda al passato e pensa che poteva anche andar peggio, la Finanziaria 2006 non è da buttare. Tremonti è andato, tutto sommato, nella direzione giusta. Le misure che consentono la riduzione del deficit di 12 miliardi (0,8% del pil) sono state prese. I tagli agli enti locali permettono di cantare il de profundis al federalismo (dannoso) che si stava delineando nella Seconda Repubblica. E questo non è detto che sia un dramma, visto il proliferare di spese allegre a cui si sono dedicati comuni e province in questi anni. Anche se tutto ciò si riverbererà in un aumento delle tasse locali che si farà sentire nelle tasche degli italiani.

Poi c’è la manovrina di correzione della Finanziaria 2005, che taglia le spese per i beni intermedi e facilita le vendite degli immobili. Di entità modesta rispetto a quanto si era sperato, è necessaria per raggiungere l’obiettivo del rapporto deficit/Pil al 4,3%. Per centrarlo, il governo scommette su una crescita non più a zero, come nelle previsioni più fosche, ma almeno dello 0,3-0,5% alla fine dell’anno. Vedremo. Di certo non è molto serio chi nella maggioranza oggi dice che è tutta colpa di Siniscalco. Il “tecnico prestato alla politica” (e dalla politica restituito senza troppi rimpianti) si è trovato a dover governare un pasticcio che era stato fatto dallo stesso Tremonti.

Il “tubatico” è scomparso, sostituito da un anticipo sulle tasse che, grazie agli ammortamenti, Snam e Terna potranno assorbire senza troppi problemi, e che colpirà anche le altre municipalizzate. Salvando (per fortuna) utili e dividendi di quei risparmiatori che avevano comprato azioni presentate a rendimento sicuro come un bot. Quando poi il governo smetterà di considerare Eni ed Enel due galline dalle azioni d’oro, e la finirà di utilizzarle per incassare denaro a forza di collocazioni e dividendi, permettendo loro di fare una politica industriale seria, saremo tutti più felici. Intanto un plauso a Tremonti che stavolta ha fatto tesoro delle esperienze precedenti ed ha saputo tornare indietro invece di andare allo scontro. Il taglio alle spese dei ministeri finalmente manda in pensione l’ipocrita tetto del 2%, impossibile da perseguire visto che la maggior parte degli stipendi della pubblica amministrazione sono indicizzati. Insomma, una sufficienza stiracchiata la si potrebbe anche concedere al ministro dell’Economia. Ha limitato i danni che poteva fare un governo spinto da necessità elettorali.

Se invece si comincia a scrutare tra le pieghe del vestito, allora ecco che viene fuori qualche perplessità. La finanza creativa è tornata a girare tra le pieghe del bilancio. Sei miliardi di euro dovrebbero venire dalle dismissioni immobiliari. Una cifra fantasiosa, soprattutto visto che lo scorso anno si era parlato di 7 miliardi di euro dalle vendite di immobili e alla fine sono entrati solo 600 milioni. Capisco l’essere ottimisti (una virtù che al presidente del Consiglio non manca), ma perché quello che non si è realizzato ieri dovrebbe andare in porto domani? Eppure in tutte queste partite di giro con gli immobili si può vedere una somiglianza tra l’agire del Governo e quello del capitalismo italiano: in assenza di una politica industriale (per incapacità e negligenza), guadagna vendendo immobili, come un Ricucci qualsiasi.

Si crea un fondo per risarcire le vittime dei disastri finanziari. Intento nobile, se non fosse che per accantonare il denaro si usa parte del denaro destinato alla ricerca e all’innovazione. Meglio non parlare poi dei mille fondi e agenzie usciti come i conigli dal cappello di Tremonti: non male per un governo che si era impegnato a ridimensionarli. Anche l’assunzione di 10 mila segugi per potenziare la caccia agli evasori qualche sospetto lo desta: visto che ci sono già 68mila Guardie di Finanza, questa rischia di essere l’ennesima distribuzione di prebende pre-elettorali.

Mancanza di progetto politico, assenza di strategia industriale: tutte cose a cui ci siamo abituati in questi anni, e che non scompaiono con una Finanziaria scritta in 48 ore. Purtroppo, più che navigare a vista un governo come questo non può offrire nulla. La claudicante riforma elettorale e le primarie di ieri danno il via ufficiale a una campagna elettorale aperta, in realtà, da anni. Palazzo Chigi è in tutt’altre faccende affaccendato, quindi non ci si poteva aspettare di più. E se “accontentarsi” può sembrare poco, si può aggiungere che il centro-sinistra non avrebbe partorito di meglio. Alle crisi strutturali non si reagisce né con manovrine né con correzioni dell’ultimo minuto. Bensì con le grandi alleanze delle forze riformiste del Paese.

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