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Public Policy

I cinque punti sui cui intervenire necessariamente

Se non ora, quando?

Non basta imporre sacrifici ai cittadini se la politica continua a guardare il proprio ombelico

di Cesare Greco - 25 maggio 2010

Il Governo impone sacrifici ai cittadini per scongiurare il rischio Grecia. Saranno sacrifici molto pesanti, dice Gianni Letta, e non c’è motivo per non credergli. Gli italiani sono un popolo tendenzialmente mansueto e accomodante, abituato da sempre a stangate e stangatine per il bene comune. Ma questa crisi e le misure conseguenti giungono in un momento nel quale la percezione di una separazione orizzontale tra cittadini comuni e casta appare più profonda.

Si polemizza sugli stipendi dei parlamentari e se ne propone il taglio. Il punto vero, che tutti evitano, però, non è lo stipendio, che se corrispondesse ad un idoneo impegno non sarebbe neanche scandaloso, ma tutto il contesto di privilegi più o meno grandi che danno la sensazione di una sostanziale diversità da boiardi zaristi. Dai TFR d’oro alle pensioni d’oro, per le quali non valgono le regole di tempo e cumulabilità che dalla legge sono imposte ai comuni mortali, dall’assistenza sanitaria separata ai pasti da grande ristorante a prezzi da mensa universitaria e tanti altri benefit che è difficile elencare e monetizzare.

E tale separazione non riguarda solo la classe politica, ma anche i loro sodali chiamati a dirigere, spesso a prescindere dalle specifiche competenze, ciò che è di pertinenza dello stato e del servizio pubblico. Di tutto ciò nel momento in cui si chiede ai cittadini di pagare il prezzo della crisi nessuno dei governanti, maggioranza o minoranza che siano, parla.

Grazie a sprechi e corruzione (che da sola vale 60 miliardi di euro, secondo la Corte dei Conti, come due manovre come quella che il Governo si appresta a varare), l’Italia si ritrova a fare i conti con un debito pubblico enorme, che avrebbe dovuto ridurre drasticamente per avvicinarsi ai parametri di Maastricht, e che al contrario continua a crescere alimentato. E così, oltre al danno, ci tocca pure la beffa della chiamata a sostenere un’economia da anni sottoposta a regolare rapina. E’ chiaro che una situazione di questo genere, oltre a non essere più sostenibile, rende il paese una facile e appetibile preda per chi punta a smontare il sistema della moneta unica europea o, in ogni caso, a lucrare sui suoi guai.

L’esempio greco e il brusco risveglio dei suoi cittadini passati all’improvviso da un sogno di crescita del Paese e benessere diffuso a un incubo reale e tangibile di fallimento e crisi economica senza precedenti, con tutto il conseguente bagaglio di ira della piazza, scontri sociali e incertezze democratiche, dovrebbe far riflettere chi oggi sa di essere nel mirino di un’apparentemente inarrestabile speculazione. E dovrebbe far riflettere in fretta i responsabili della Cosa Pubblica, siano essi al governo o all’opposizione. Vi sono almeno cinque punti sui quali un intervento legislativo appare improcrastinabile se si vuole dare un segnale che il paese è pronto a fare la sua parte per correggere le cause della crisi.

Il primo punto riguarda la Sanità e i suoi enormi sprechi. Certo l’ideale sarebbe ridisegnare tutto il sistema per portarlo, per la maggior parte dei suoi costi, fuori dalla spesa pubblica così come avveniva prima della riforma del ’78. Nel frattempo, però, occorre apportare tutti quei correttivi che escludano le classi politiche locali dalla gestione diretta che esercitano attualmente sulle nomine dei Direttori Generali, sui concorsi, sugli appalti, limitando i poteri dei governi locali alle sole politiche di indirizzo e demandando il controllo della correttezza della spesa e delle procedure ad un organo indipendente.

Non passa giorno che non venga alla luce uno scandalo legato in questo settore; dalle tangenti alle consulenze d’oro alla giungla dei prezzi pagati dalla pubblica amministrazione con inspiegabili e ingiustificate differenze di costi da ASL ad ASL nella stessa regione e allo stesso fornitore. Il secondo riguarda la Previdenza e l’adeguamento rapido dell’età pensionabile agli attuali livelli di sopravvivenza della popolazione.

Il terzo punto riguarda la Pubblica Amministrazione e il sistema burocratico, troppo spesso ostacolo alla crescita economica del Paese e ancora oggi percepita più come nemico e malversatore che come un aiuto per i cittadini contribuenti. Il quarto punto richiede una più incisiva lotta all’evasione fiscale che, anziché poggiare sulle fantasie degli studi di settore, che in periodi di crisi finiscono per non corrispondere alla realtà delle aziende, si basi su un’ efficace informatizzazione che permetta di incrociare i dati relativi ai consumi e al tenore di vita reale dei cittadini con quanto effettivamente dichiarato.

In questa direzione, inoltre, occorrerebbe intervenire spezzando la perversa convergenza di interessi tra chi usufruisce di una qualsiasi prestazione professionale e chi questa prestazione fornisce. L’impossibilità di alleggerire il proprio imponibile di una percentuale adeguata di quanto speso per un’assistenza legale o per una ristrutturazione edilizia o una prestazione medica, finisce per rendere il pagamento in nero, senza IVA e con uno sconto consistente, economicamente conveniente per tutti, meno che per lo Stato.

Il quinto e ultimo punto è rappresentato dai tempi della Giustizia, soprattutto Civile, che finiscono per scoraggiare principalmente quegli investitori stranieri che non vogliono certo rischiare di rimanere invischiati in paralizzanti lungaggini per loro inconcepibili. Dei costi della politica, quelli veri, non la bufala degli stipendi, abbiamo detto. L’acqua è poca e la papera non galleggia, recita un vecchio detto napoletano, e in Italia l’acqua va prosciugandosi con preoccupante velocità. Nel frattempo la politica continua a guardare il proprio ombelico incurante di tutto il resto e senza rendersi conto che il contagio galoppa rapido lungo le antiche rotte del Mediterraneo.

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