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L’Europa che non c’è

Se Atene piange…

Per attraversare il guado occorre che ci sia una salda istituzione

di Davide Giacalone - 11 febbraio 2010

Se si alzano gli occhi dal cortile di casa, se non si vive ripiegati sulle proprie, stantie miserie, ci si accorge di un ponte immaginario, che va da Atene a Teheran, nel mezzo del quale si trova un buco in cui precipita l’Europa. Quello è il problema dei prossimi anni, che avrà influenza sulla nostra vita materiale assai più delle baruffe sugli aiuti di Stato a questo o quel settore economico. Partiamo da Atene, perché non credo siano in molti ad aver chiaro il significato di quel che succede.

I cittadini greci hanno in tasca l’euro, come noi, i tedeschi o i francesi, solo che sono ad un passo dalla bancarotta. Un tempo, quando c’erano le monete nazionali, la svalutazione era un effetto, ma anche un rimedio, in casi di crisi. Svalutando il Paese ci rimetteva in affidabilità e nell’acquisto di materie prime sui mercati internazionali, ma toglieva valore ai debiti fatti e recuperava competitività per le proprie merci. Non era un bell’andazzo, ma noi italiani ne abbiamo abbondantemente usufruito. La moneta unica cambia tutto, perché i debiti continuano a farli gli stati nazionali, ma non possono svalutare. Capita, così, che per piazzare un titolo del proprio debito pubblico i greci debbano pagare almeno 390 punti base in più rispetto ai tedeschi, ma entrambe i prestiti sono contabilizzati in euro. Siccome questo strangola i greci (così come impoverisce noi, che, in termini assoluti, abbiamo un debito assai più alto del loro), o li aiutiamo a stare in piedi, oppure li soccorriamo svalutando tutti, o, ancora, rischiamo di perdere loro e finire comunque al centro di un attacco speculativo, che abbia l’euro come bersaglio. La prima scelta è l’unica sana. Ma come si fa, ad aiutarli? Nell’area dell’euro c’è un’unica moneta e un’unica banca centrale, ma manca sia un governo dell’economia che una cassa corrispondente. Per aiutarli, allora, si deve ricorrere a prestiti bilaterali. Siccome chi è indebitato è difficile si metta a prestare soldi, il compito tocca a chi ha i conti meno in disordine, quindi ai tedeschi. Né si può pensare ad un intervento del Fondo Monetario Internazionale, come avveniva un tempo, perché sarebbe come immaginare un intervento simile a favore del Veneto e non della Calabria: se fatto dall’esterno è la fine dello Stato nazionale. Se l’Europa vuol continuare a esistere, quindi, deve fare da sé sola.

Ma perché il signor Herrmann deve rinunciare ad un pezzo della propria pensione, del proprio ospedale o della scuola per il figlio, in modo da soccorrere il signor Kallistratos? Non ti preoccupare, gli dice il governo tedesco, perché ai danzatori di sirtaki abbiamo posto condizioni capestro, come l’innalzamento dell’età pensionabile, la diminuzione degli stipendi pubblici, la drastica contrazione del deficit e altre piacevolezze similari. Bene, ma come fa il governo greco a far digerire questa roba, senza che la piazza esploda? Allora ecco gli aiuti europei, da mettere sull’altro piatto della bilancia. Che stia in equilibrio, considerato che i greci non sono affatto da soli, a navigare in cattive acque, è tutto da dimostrarsi, ma, in ogni caso, è l’indicazione che l’Europa economica cerca disperatamente di esistere.

Il fatto è che a Teheran non ci credono manco per niente, e non hanno torto. Complici le incertezze e gli errori di Obama, cui rimproverammo la mano tesa al governo iraniano nel mentre l’opposizione portava il popolo alla protesta, il governo italiano, in occasione della visita in Israele, si è molto esposto. E ha fatto bene. Benissimo. E’ la cosa migliore che abbia fatto. Sia perché è giusto in sé, sia perché è saggio, dato che è dieci, cento, mille volte meglio avere una manifestazione violenta davanti all’ambasciata che non un governo di fanatici assassini armato con l’atomica. Quelli vanno fermati. In un modo o nell’altro. Noi lo abbiamo detto. Ora lo dicono anche gli Stati Uniti. All’appello manca un soggetto: l’Europa.

Non si può essere soggetto politico ed essere presieduti da Herman Van Rompuy, che solo i congiunti sanno chi sia. Non si può fare politica estera affidandosi alla voce di Catherine Ashton, di cui sappiamo che è nobile, ma ha, sì e no, il ruolo del soprammobile. I barbuti squadristi ayatollizzati se la prendono con gli italiani perché di quei due non sospettano neanche l’esistenza e dell’Europa sanno solo che è un posto un miliardo di volte migliore rispetto a quello in cui si trovano.

Riassumendo: i debiti di ciascuno ricadono sulle spalle comuni, mentre la politica comune la fa ciascuno per i fatti propri. Non ha senso e non può funzionare. L’euro è stato concepito per i periodi di crescita e vaccinato solo contro l’inflazione, sperando che dal soldo si potesse meglio passare all’istituzione. Viviamo, invece, in tempi di recessione e anemia del mercato interno, mentre la mancanza dell’istituzione rischia di spezzare il soldo. Questo è lo scenario, nel quale ci giochiamo il benessere e la crescita, abbondantemente ignorato da un dibattito politico in altre faccende affaccendato. Sicché, infine, torniamo a concentrarci sulle cose che ci divertono maggiormente: le deposizioni di Spatuzza e Ciancimino, oppure una bella briscola. Potendo scegliere: la seconda che ho detto.

Pubblicato da Libero

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