Cercasi concretezza
Scuola bersaniana
La scuola non è un luogo dove tenersi compagnia, ma uno strumento per rendere più ricca la vita futura.di Davide Giacalone - 12 febbraio 2013
Parliamo di cose concrete, dice Pier Luigi Bersani, senza abbandonarci alla sola propaganda. Giusto. Su Repubblica ha esposto le sue idee sulla scuola. Va preso sul serio, come tutti quelli che s’impegnano a far proposte. Proprio prendendolo sul serio, però, si ha l’impressione che condanni la scuola a restare com’è. Se non a peggiorare.
Si concentra su tre proposte. La prima riguarda l’edilizia scolastica, nella quale investire per metterla a norma e in sicurezza. Ha ragione, sottoscrivo. Faccio solo osservare che tale intento rientra, però, nei programmi di edilizia e lavori pubblici, non in quelli per la scuola. Tanto è vero che lo stesso Bersani estende analoga proposta agli ospedali. Resta da stabilire dove intende prendere i soldi, ma è questione diversa (fa un cenno a quelli recuperati dall’evasione e dalla corruzione, come i democristiani di quaranta anni fa e i confusi nostri contemporanei).
La seconda è relativa all’abbandono scolastico, ma non si capisce in cosa consista la proposta. C’è anche un passaggio surreale: “sono soprattutto i pre-adolescenti e gli adolescenti che lasciano la scuola”. Per forza: la scuola superiore termina con la maggiore età e prima della pre-adolescanza si è bambini. Cosa pensava, che si dovesse fermare la fuga dei bambini? Nella prosa, però, si perde il rimedio. Dice che le scuole dovrebbero restare aperte tutto il giorno. Per fare che e con che soldi? Se ce ne sono da spendere meglio incentivare le attività sportive, oltre a lasciare qualche ora per studiare e qualche tempo per essere giovani e stare con gli amici. Poi aggiunge: “il giusto riconoscimento del merito deve essere accompagnato dalla valorizzazione delle opportunità che ciascuno ha di accedere alla formazione”. Si rende conto che non significa niente?
C’è un punto assai positivo: il rilancio della formazione tecnica e professionale. Giustissimo. Peccato siano stati i suoi partiti (plurale, perché è sempre lo stesso, ma ha cambiato più volte nome) a remare in direzione opposta, supponendo che la promozione sociale degli svantaggiati coincidesse con la liceizzazione di massa. Errore esiziale. Se ne è accorto e gliene va reso merito. Il terzo punto è la mazzata mortale: si devono formare meglio gli insegnanti, selezionandoli con più attenzione alla qualità (giustissimo), ma “quello che serve è un nuovo piano pluriennale di esaurimento delle graduatorie” dei precari. Buona notte, perché in quel modo si ottiene l’esatto opposto, bloccando per decenni l’accesso di quelli bravi e giovani. Il solo farsi passare per la testa una cosa simile significa pensare alla scuola come servizio a chi ci lavora, piuttosto che a chi ci studia.
Una sinistra vera, attenta a che funzionino gli ascensori sociali e vadano avanti i meritevoli e non i privilegiati alla nascita, dovrebbe proporre: a. meritocrazia fra i banchi e fra le cattedre; b. trasparenza e pubblicità dei risultati; c. spesa pubblica indirizzata verso scuole e insegnanti che meritano, non a pioggia; d. digitalizzazione massiccia (tutte le scuole italiane sono in rete, ma il libro di testo digitale continua a essere rinviato, prima dal governo Berlusconi e poi da quello Monti, se ne sono accorti?); e. integrazione fa scuola e mondo del lavoro, anche mediante la promozione di borse di studio finanziate dai privati (e interamente defiscalizzate); f. competizione fra i diversi istituti, il che comporta la cancellazione del valore legale del titolo di studio. Soldi? Sì, certo, i soldi servono, ma se non si cambia il modo di spenderli più se ne mettono e più se ne buttano. Anche per arruolare l’esercito di quelli che sono in graduatoria senza mai avere passato un concorso, e che Bersani vuole assorbire ope legis. Forse perché gli studenti non votano. La nostra scuola contiene eccellenze straordinarie, ma anche sprechi e ignoranze vergognose. Se continuiamo a occuparci delle corporazioni, anziché dei risultati, continueremo a figurare ultimi nelle graduatorie dei paesi civilizzati (salvo poi esportare studenti e insegnanti di primo livello). La scuola non è un luogo dove tenersi compagnia, ma uno strumento per rendere più ricca la vita futura. Così, tanto per parlare di cose concrete.
La seconda è relativa all’abbandono scolastico, ma non si capisce in cosa consista la proposta. C’è anche un passaggio surreale: “sono soprattutto i pre-adolescenti e gli adolescenti che lasciano la scuola”. Per forza: la scuola superiore termina con la maggiore età e prima della pre-adolescanza si è bambini. Cosa pensava, che si dovesse fermare la fuga dei bambini? Nella prosa, però, si perde il rimedio. Dice che le scuole dovrebbero restare aperte tutto il giorno. Per fare che e con che soldi? Se ce ne sono da spendere meglio incentivare le attività sportive, oltre a lasciare qualche ora per studiare e qualche tempo per essere giovani e stare con gli amici. Poi aggiunge: “il giusto riconoscimento del merito deve essere accompagnato dalla valorizzazione delle opportunità che ciascuno ha di accedere alla formazione”. Si rende conto che non significa niente?
C’è un punto assai positivo: il rilancio della formazione tecnica e professionale. Giustissimo. Peccato siano stati i suoi partiti (plurale, perché è sempre lo stesso, ma ha cambiato più volte nome) a remare in direzione opposta, supponendo che la promozione sociale degli svantaggiati coincidesse con la liceizzazione di massa. Errore esiziale. Se ne è accorto e gliene va reso merito. Il terzo punto è la mazzata mortale: si devono formare meglio gli insegnanti, selezionandoli con più attenzione alla qualità (giustissimo), ma “quello che serve è un nuovo piano pluriennale di esaurimento delle graduatorie” dei precari. Buona notte, perché in quel modo si ottiene l’esatto opposto, bloccando per decenni l’accesso di quelli bravi e giovani. Il solo farsi passare per la testa una cosa simile significa pensare alla scuola come servizio a chi ci lavora, piuttosto che a chi ci studia.
Una sinistra vera, attenta a che funzionino gli ascensori sociali e vadano avanti i meritevoli e non i privilegiati alla nascita, dovrebbe proporre: a. meritocrazia fra i banchi e fra le cattedre; b. trasparenza e pubblicità dei risultati; c. spesa pubblica indirizzata verso scuole e insegnanti che meritano, non a pioggia; d. digitalizzazione massiccia (tutte le scuole italiane sono in rete, ma il libro di testo digitale continua a essere rinviato, prima dal governo Berlusconi e poi da quello Monti, se ne sono accorti?); e. integrazione fa scuola e mondo del lavoro, anche mediante la promozione di borse di studio finanziate dai privati (e interamente defiscalizzate); f. competizione fra i diversi istituti, il che comporta la cancellazione del valore legale del titolo di studio. Soldi? Sì, certo, i soldi servono, ma se non si cambia il modo di spenderli più se ne mettono e più se ne buttano. Anche per arruolare l’esercito di quelli che sono in graduatoria senza mai avere passato un concorso, e che Bersani vuole assorbire ope legis. Forse perché gli studenti non votano. La nostra scuola contiene eccellenze straordinarie, ma anche sprechi e ignoranze vergognose. Se continuiamo a occuparci delle corporazioni, anziché dei risultati, continueremo a figurare ultimi nelle graduatorie dei paesi civilizzati (salvo poi esportare studenti e insegnanti di primo livello). La scuola non è un luogo dove tenersi compagnia, ma uno strumento per rendere più ricca la vita futura. Così, tanto per parlare di cose concrete.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.