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L’Italia ha bisogno di una terza Repubblica

Sconfitto o sublimato

Il disarmo deve essere bilaterale, se si vuole riarmare il Paese e farlo crescere

di Davide Giacalone - 22 settembre 2011

Ulisse divenne uomo anche perché “molti dentro del cor sofferse affanni”, qui ne vedo molti che s’affannano a restar ragazzini, pronti ad accapigliarsi, lesti nello spararla grossa, ma poco inclini a ragionare. Ogni mattina s’accende la radio per conoscere le ultime, ma da sinistra sono sempre le stesse: vada a casa. Lo mandino all’inferno, tanto per variare. I più ponderanti la dicono in modo diverso: è finito un ciclo, si ritiri. Quel tipaccio di Winston Churchill usava una formula più sanguigna: la democrazia è bella quando a comandare siamo in due e l’altro è a casa malato. Gli appelli al ritiro odorano di patetico. Un leader politico, che ha dominato la scena per quattro lustri, deve essere sconfitto (nelle urne, non in bivacchi d’oppositori mosci, o in corridoi di palazzi ombrosi) o sublimato.

Siccome alle urne ci si arriva, prima o dopo, la nuova moda consiste nel dire che sarebbe bene cambiare la legge elettorale. Fissiamo alcuni paletti: primo, per questa riforma occorre tempo e una maggioranza parlamentare, quindi reclamarla significa stabilizzare, nell’immediato, il governo. Vedo che il Corriere della Sera insiste a battere questo tasto, da ultimo con Sergio Romano, che suggerisce a Berlusconi di ritirarsi, ma dopo le elezioni che egli dovrebbe fissare a primavera. Ora, a parte il fatto che il governo non può fissare un accidente se prima il Presidente della Repubblica non scioglie il Parlamento, e certo non può farlo se in quello l’esecutivo continua ad avere la fiducia (che vada sotto in altre votazioni è normale, altrimenti si potrebbe cancellarlo, il Parlamento), resta evidente che in Spagna si può farlo perché si sa chi vincerà le elezioni e cosa farà, da noi non mi pare sia lo stesso. Dice Nuriel Rubini che se Berlusconi toglie il disturbo lo spread diminuisce automaticamente di cento punti, e Tito Boeri ha fatto anche i conti, ma se al governo ci va chi protesta in piazza contro la manovra troppo dura lo spread lo salutiamo con il naso all’in sù.

Secondo, l’attuale legge elettorale è penosa. Quella precedente non era migliore, ma meno confliggente con la Costituzione (la quale, non lo si dimentichi mai, è consustanziale al proporzionale). Sia con l’una che con l’altra hanno vinto sia la destra che la sinistra, e in tutti i casi i governi sono stati dilaniati dalle disomogeneità interne alla coalizione vincente. Quindi, se non vogliamo discutere di problemi istituzionali con il nostro cartomante di fiducia, il vero tema è: mettere in coerenza sistema elettorale e architettura costituzionale, in modo da far nascere governi governanti. Oggi manchiamo entrambe gli obiettivi, bloccando anche il sistema produttivo s’è fermato. E’ questo il nostro principale svantaggio competitivo.

Terzo, cambiare la sola legge elettorale non risolve un accidente, se non l’esigenza di liberarsi di Berlusconi liberandosi del bipolarismo. Sorvolando su un tale bislacco e avventuroso modo di procedere, la mattina dopo i Macbeth della seconda Repubblica e mezzo sarebbero perseguitati dal fantasma di Banco (anche lì c’era un problema di legittimità a governare), ma non avrebbero il tempo di essere terrorizzati dalle catene spettrali, perché bloccati da quelle carcerarie. Inevitabile, se non si disinnescano i deragliamenti istituzionali che si sono consentiti per distruggere il precedente avversario (vorrei ricordare che furono le procure a far cadere l’ultimo governo Prodi). Ergo, il disarmo deve essere bilaterale, se si vuole riarmare l’Italia e farla crescere. Le stesse misure pro-sviluppo, che tutti reclamano senza precisare di che parlano, richiedono riforme profonde, mica sciabolate. Quelle son buone solo per far cassa, come l’iva insegna. Lo spazio che rimane a questa legislatura, poco o tanto che sia, a parte metter pezze nelle falle, sarà ben speso se impiegato per riconoscere che l’Italia ha bisogno di una terza Repubblica, di una riscrittura costituzionale, che non sia il sovrapporsi della gloriosa Carta, dei referendum e del maggioritario a capocchia. Altrimenti si procede a vista, per giunta bendati, con gli uni che invocano la dipartita, gli altri che s’incarogniscono nella permanenza e il Quirinale che avvia le consultazioni quale succedaneo della crisi.

Pubblicato da Libero

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