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Iraq e Vietnam: la posizione di Bush

Sbagliato lasciare gli iracheni adesso

Sono già stati commessi molti errori. Ora gli statunitensi discutono di come restare

di Davide Giacalone - 08 gennaio 2007

In Viet Nam abbiamo perso perché ci siamo ritirati, non commetteremo ancora quest’errore. Pronunciando tali parole, ospite dei vietnamiti, il presidente Bush ha chiarito che una superpotenza militare perde le guerre solo quando ne sbaglia l’impostazione politica o non ne regge le conseguenze. A sconfiggere gli statunitensi non furono certo i khmer rossi ed i loro alleati, la cui vittoria è stata poi scontata dalla popolazione civile con decenni di miseria, dittatura e terrore, ma la scelta di non assecondare oltre l’escalation militare, di non usare tutte le armi, e la pressione di un’opinione pubblica che aveva smarrito il senso di quella guerra, ma ne contava i morti e la devastazione (anche morale). Quella guerra, avviata dai democratici (con Kennedy), fu chiusa dai repubblicani (con Nixon). Ora è la partita irachena ad agitare lo spettro della sconfitta, ed è bene parlarne.
In Iraq sono stati commessi molti errori, a cominciare dal non avere abbattuto Saddam Hussein all’epoca della prima guerra. Gli errori non cancellano l’opportunità dell’intervento ed è bene non dimenticare che già molti curdi erano stati sterminati per il solo essersi fidati delle parole di liberazione e pace pronunciate dalle democrazie occidentali. L’Iraq nacque sul tavolo dove Churchill lavorava con il righello. Sono passati molti anni, ma la guerra civile restituisce la sopravvivenza degli antichi confini tribali, etnici e religiosi. Bush ha ragione a ricordare che non perderemo nuovamente ritirandoci, perché la sconfitta di oggi non servirebbe a ribadire i confini del confronto fra il comunismo e la libertà (come allora), ma dimostrerebbe che il fondamentalismo islamico può allargare i propri. E sarebbe una lezione disastrosa.
I democratici statunitensi, cui le elezioni di medio termine hanno consegnato la maggioranza, non propongono affatto il ritiro, ma la riformulazione della missione puntando al consolidamento della libertà conquistata. Bush sembra volere anteporre una nuova sconfitta del nemico, intensificando l’azione militare. Gli statunitensi discutono di come restare, dunque, non di come andarsene. E quanti oggi plaudono alle posizioni dei democratici farebbero bene a ricordare che quello è il lavoro che stavamo facendo noi italiani. Dovremmo esserne orgogliosi, non nasconderlo.

Pubblicato su Libero dell’8 gennaio 2007

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