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Pimo maggio sanremizzato

Sanremo à la gauchiste

Il conformismo era democristiano, ora, da tempo, è de sinistra.

di Davide Giacalone - 11 febbraio 2013

Non è il festival di Sanremo a essere divenuto la copia della festa del primo maggio, è la festa del primo maggio a essere stata sanremizzata. Il valore politico della rassegna canora non consiste nel messaggio che veicola, ma nell’ottundimento che diffonde. La sinistra dello schermo ha preso il posto dei democristiani, ma pretende di non essere simile all’Italia che li ascolta. Come quelli che sono stati in una comune, hanno praticato la libertà dei costumi, non credono alla famiglia borghese ma poi si sposano in chiesa e con un ricevimento dedito ad amici e al vasto parentato. Uguali a quelli di prima, ma diversi. Perché si sentono diversi. De che? da chi? Sembrano il Jovanotti che faceva da valletto a Pippo Baudo.

Il primo maggio dei lavoratori, del coraggio e dei lunghi discorsi appartiene alla storia. Lontana. Da anni, per riempire le piazze, per acchiappare qualche giovane e non farne la giornata della terza età, si ricorre ai concerti. Nessuno va al comizio del primo maggio, molti vanno al concerto. Un tempo si scatenava l’entusiasmo per le parole raspanti di Giancarlo Pajetta, ora parte l’appaluso per le parole scivolanti di Claudio Bisio. Un tempo bastava mettere piede al festival di Sanremo per non potersi più esibire in concerti dedicati ai giovani (ricordo un Little Tony cacciato a furor di popolo) e si era cantanti impegnati se non si andava in tv (da De Andrè a Guccini), ora si richiama la folla dopo essersi cimentati ad Amici, e il lungo e onorato servizio a Zelig diviene testimonianza di quanto la cultura sappia avvicinarsi al popolo. Detto in parole semplici: il conformismo era democristiano, ora, da tempo, è de sinistra.

Prendete i cantori sinistri della televisione, da Angelo Guglielmi (che ha sempre l’aria drammaticamente pensosa del Christof che dirigeva il Truman Show, interpretato da Ed Harris) a Carlo Freccero: bravissimi nel mestiere, se la ridono, ne sono certo, da dentro i tabernacoli dove la sinistra li ha messi. Sono stati gli artefici del nuovo conformismo post catodico, gli interpreti dell’incultura culturizzata, ma nessuno oserebbe affiancarli ad un Adriano Aragozzini o a un Mario Maffucci, non meno bravi, ma decisamente meno atteggiati a filosofi del rincitrullimento. Il più libero utilizzatore della televisione, in fondo, resta Fantozzi: frittatona di cipolla, birra e rutto libero.

Silvio Berlusconi si lamenta, perché conosce i suoi polli (gaberianamente intesi). Il problema non è l’audience sottratta ai politici, che, del resto, va interpretato come un modo per salvare Mario Monti da se stesso e da quei pazzi che gli consigliano di dire che il cane ha un cuore. Il problema è che la Coop sa cosa fa quando sceglie Luciana Littizzetto come testimonial e investe dei bei quattrini. La Coop fa un affarone, con Sanremo, e il valore politico e commerciale non è in quel che il testimonial dirà, ma in quel che il testimonial è. La Coop, si sa, sono loro, sono falce e carrello. Quel testimonial vale più del Mike ultraprofessionale o della mortazza promossa da un Funari che la mangiava a bocca aperta. E’ lo stile del popolo non popolano. Lo stesso, però, che paga l’Imu e non gode per niente.

La sinistra televisiva fu antiberlusconiana perché desiderava una televisione dedita alla pedagogia di massa, mentre l’altro puntava al sollazzo tettuto. Loro volevano costringere ad ascoltare, l’altro mieteva gli ascolti. L’odierna sinistra sanremese è totalmente interna al modello berlusconiano, ivi compreso il sovrapporsi di propaganda e pagnotta e non escluso il tocco culturale del musico d’alto bordo, che fa tanto: signora mia, noi siamo un’altra cosa. Dopo avere difeso il monopolio, dopo avere sostenuto la Rai contro il mercato e messola in conto ai contribuenti, dopo avere sanremizzato il primo maggio, dopo avere cavalcato il linguaggio schermico è giusto che abbiano il palco del festival. Se lo godano. Noi, al comparire della “giuria di qualità”, al manifestarsi di quel patetico tentativo di sostenere che non sono solo canzonette, ci abbandoneremo al già citato e fantozziano sfiato liberatorio.

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