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Ora manca una voce capace di moral suasion

Salviamo il capitalismo italiano

La colpa di Fazio è aver difeso maldestramente i nostri colori mettendo in crisi Bankitalia

di Enrico Cisnetto - 30 settembre 2005

Quanto segue è un appello, estremo e accorato, a salvare – per quanto possa essere ancora possibile – il capitalismo italiano, inteso non come semplice somma di soggetti economici ma come “sistema”. Salvezza che non dipende solo dalle scelte di politica economica e industriale (peraltro poche e sbagliate), o dalla capacità innovativa dei singoli imprenditori (peraltro scarsa), ma anche e soprattutto dalla credibilità di un establishment che o è forte o non è, e dalla difesa – oggi traballante – delle ragioni dell’interesse nazionale. Beni preziosi che un delitto plurimo e reiterato, con più esecutori e mandanti, chiamato “caso Fazio”, sta barbaramente massacrando. Della perdita di dignità della Banca d’Italia e della Politica ho già parlato, oggi voglio soffermarmi sulle conseguenze che questo tsunami sta avendo su quel che rimane del nostro sistema economico e finanziario.

Quando gli olandesi di Abn-Amro, un minuto dopo aver conquistato Antonveneta, fanno sapere che la ritireranno dalla Borsa, potranno anche giustificarsi con l’indignazione mostrata dal loro presidente Groenik (a proposito: non era meglio tacere, almeno per un po’?), ma dimostrano che certe preoccupazioni egemoniche non erano del tutto infondate. Se poi si scopre che il delisting da Piazza Affari lo faranno anche i tedeschi di Allianz con i titoli Ras, allora viene da pensare che nella testa dei grandi gruppi stranieri che hanno comprato pezzi del capitalismo italiano stia passando l’idea che non solo è meglio non avere a che fare con il nostro mercato finanziario e le sue istituzioni di controllo, ma anche che è opportuno far diventare le società conquistate sempre più “filiali” e “marchi” delle loro case madri. Ma chi ha fatto vincere gli stranieri se non coloro che hanno difeso maldestramente i colori italiani? La vera colpa di Antonio Fazio sta proprio nell’aver affidato il vessillo della “italianità” a improponibili difensori, distruggendo così il fondamentale precetto che l’apertura del nostro mercato all’Europa non deve essere fatta senza monitorare gli effetti sul risparmio nazionale e sul tessuto industriale. Il rischio, dunque, è che con la sconfitta di questa strana congerie di avventurieri l’interesse nazionale diventi argomento impresentabile.

Ma anche per i “vincitori” italiani – penso agli esimi membri del patto di sindacato della Rcs – c’è un insegnamento di cui far tesoro: la restaurazione è impossibile. Per capirlo basta guardare come si sono mossi i vari Ricucci, con quale facilità hanno trovato finanziatori, partner e possibili compratori all’estero. E’ il segnale di un cambio epocale che rende oltremodo pericolose le vecchie lotte intestine del nostro establishment. I lunghi duelli del passato che animavano le sorti di Fiat, Mediobanca, Montedison e Generali si basavano sul presupposto che le “prede” prosperavano comunque in un mercato pietrificato e al riparo dalla concorrenza. Ora no, i “campi di battaglia” perdono valore velocemente e per ogni azienda oggetto di contesa c’è ne un’altra pronta a prenderne il posto. Non è un segreto che i concorrenti dell’Antonveneta si siano rafforzati nel Nordest sfruttando le incertezze create in tanti imprenditori da una vicenda complicata e persino attraverso una discreta campagna acquisti sul middle management in cerca di porti sicuri. E alla perdita di valore corrisponde una vulnerabilità di cui possono approfittare gli stranieri che hanno più soldi e maggiore libertà d’azione. E quanto gli stranieri si “muovano”, lo dimostra il comportamento di Abn Amro che ha speso più del dovuto per rilevare Antonveneta, e non ha disdegnato di “sporcarsi le mani” con l’imperfetto sistema giudiziario italiano o di buttarla in politica quando è servito. Conta il risultato e loro lo hanno ottenuto, anche aiutati dal dilettantismo provinciale degli avversari “prescelti”.

In più c’è il fatto che il nostro establishment, piccolo e sprovvisto della necessaria “coscienza di classe”, è privo di un baricentro e di una guida perché finito Cuccia (già prima della sua morte) non ha trovato di meglio che dilaniarsi in una guerra di veti incrociati. Ma, attenzione: in tanti punti nevralgici del sistema – vedi i francesi in Mediobanca e Generali – c’è già chi è pronto a sfruttare la situazione e più c’è il “nodo Telecom” che nel 2006 verrà al pettine. E c’è forse un solo imprenditore o finanziere italiano che possa e voglia intervenire sulla Bpi orfana di Fiorani o sulla Rcs senza scatenare l’opposizione preconcette di qualche partito avverso? Il risultato è l’immobilismo e l’incapacità di trovare al proprio interno le risorse per eventuali ricambi generazionali, in attesa che qualcuno da oltre confine noti l’opportunità e ne approfitti. Ma, dico io, non sarebbe meglio pensarci subito, prima che parta il prossimo regolamento di conti? Non è un segnale eloquente quanto è capitato intorno alla ipotizzata intesa tra Berlusconi (versione capitalista) e De Benedetti? E non vi pare, cari frequentatori di quel che rimane del vecchio salotto buono, che sarebbe ora di mettere in conto che la Seconda Repubblica è al capolinea ma che nessuno sta lavorando per gettare le fondamenta, possibilmente solide, della Terza? Vi siete resi conto che, rasa al suolo la Banca d’Italia per il concorso di colpa di Fazio e di una classe politica miope e irresponsabile, è venuta a mancare l’ultima voce autorevole di moral suasion capace di comporre i conflitti e tessere una trama?

Pubblicato sul Foglio del 30 settembre 2005

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