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Tra abusivismo e crescita

Salvamo territorio ed economia

L’edilizia è un settore chiave per riprendere a crescere, ma soprattutto è un modo per riedificare l’Italia pubblica e collettiva

di Davide Giacalone - 17 febbraio 2014

L’edilizia e i lavori pubblici sono stati fra le molle potenti del boom economico. Non ci siamo fatti mancare illeciti e scempi, ma l’avversione alla “cementificazione”, l’identificarla con la distruzione anziché con la costruzione, non ha nulla di ragionevole. Il settore è oggi in crisi profonda. E’ da considerarsi una storia finita, e finita male? No, c’è molto da fare. Anche i guasti evidenti, anche il franare con piogge che non sono diluvi, possono essere altrettante occasioni di ripresa. Economica e non solo. Arruoliamo un “esercito della salvezza territoriale e urbana”.

Sulla base dei dati dell’Osservatorio del mercato immobiliare dell’Agenzia delle Entrate il numero di transazioni residenziali si è mantenuto, nel terzo trimestre 2013, sui livelli di fine 2012, più che dimezzato rispetto al 2007. La flessione dei prezzi delle abitazioni si è accentuata (-1,2 per cento rispetto al periodo precedente, da -0,6 nel secondo trimestre), ma è molto meno pronunciata del crollo delle compravendite. Dati che dimostrano quanto il settore non può puntare ancora sull’aumento delle cubature. Il che comporta un significativo corollario: gli affari non si fanno più puntando sui piani regolatori e sulle modifiche delle destinazioni d’uso dei terreni. Che siano corrette o corrotte. Meglio sbrigarsi a pensare un futuro diverso.

La via virtuosa porta all’affermarsi di un settore edilizio che sia espressione del Made in Italy, piuttosto che dell’Occupy Italy. Ci sono fondi europei e della Banca europea investimenti, per un obiettivo “zero energy building”, entro il 2020. Per l’Italia è un’occasione. Che siamo prossimi a sprecare, visto che i programmi dovrebbero essere presentati entro aprile. Purtroppo di governi ne abbiamo troppi e nessuno. Il nostro patrimonio è fatto di borghi e centri storici da recuperare e digitalizzare, conciliando storia e modernità. Un’opportunità per mettere in sinergia edilizia e turismo, facendo crescere il valore del più diffuso patrimonio degli italiani: la casa. Per quel che riguarda le periferie urbane e i nuovi insediamenti, piuttosto che puntare a improbabili demolizioni e rifacimenti (non siamo e non saremo mai gli Usa), la chirurgia urbanistica può dare risultati meno costosi e più significativi.

Questo genere di operazioni chiede cultura e tecnologia. Affinandole creiamo un nuovo settore interessante per la domanda estera, dato che in molte parti del pianeta il problema del recupero si è posto al crescere della ricchezza, che comporta maggiore sensibilità ambientale e maggiore attenzione al controllo del consumo energetico. Un modello di edilizia da esportazione, che può aprire frontiere insperate, spingendo anche l’indotto dei componenti e dell’arredamento, dove abbiamo posizioni di leadership. L’opposto dei “palazzinari”, di cui certo non piangeremo la scomparsa.

Sul fronte dei lavori pubblici cito solo un dato: 4.850 scuole in Sicilia, 4.600 in Campania, 3100 in Calabria (quasi tutte) sono considerate ad alto rischio e non ricevono, da anni, neanche interventi di manutenzione ordinaria. Non si tratta di metterle in sicurezza, o di conservarle come sono, ma di farne modelli di funzionalità e prevenzione malattie respiratorie e allergiche. Portando investimenti necessari e urgenti, sicché rimettendo in moto la macchina produttiva. Immagino qualcuno sorrida e altri pensino di leggere lo scritto di un pazzo, ma non c’è nulla che c’impedisca d’essere modelli di architettura, funzionalità ed ecocompatibilità. Se non l’ignavia, la rassegnazione e il lucrare sulla miseria anziché sulla ricchezza. La seconda, per definizione, è più promettente.

Per ottenerlo si deve disporre di un testo unico per l’edilizia, per i lavori pubblici e per la salvaguardia territoriale (tema sul quale ho già scritto). Un lavoro di pochi mesi. E si deve finirla con il sistema delle gare al massimo ribasso, che sono utili a chi ricicla denaro sporco, a chi punta sulla revisione dei prezzi e a chi mette in opera lavori fatti male e con materiali scadenti. Il tutto aumentando all’infinito il costo collettivo. Meglio il massimo rialzo qualitativo. La vera arma per il controllo dei prezzi e della qualità è la rendicontazione, che da noi è quasi sempre dimenticata. Salvo abbandonarsi al delirio burocratico e documentale nella predisposizione delle gare: grattaceli di carta per pochi mattoni, quindi loculi imprenditoriali.

Dite che i soldi non ci sono? Il guaio è che ce ne sono troppi per fare poco e male, quasi sempre a metà. Ripensare l’edilizia è anche un modo per riedificare l’Italia pubblica e collettiva. Oggi inaccettabilmente diroccata e, nei suoi cascami, assai costosa.

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