Evitiamo che si commettano scempi
(S)consiglio di stato
Povero paese quello in cui gli ambientalisti bloccano anche gli investimenti "puliti"di Enrico Cisnetto - 20 maggio 2011
Per fortuna il buon Franco Viezzoli – cui va il mio commosso saluto ed un affettuoso ricordo – se n’è andato in tempo per non vedere l’ultimo scempio perpetrato ai danni di quel che rimane della politica industriale, ed energetica in particolare, di questo nostro benedetto Paese. Chissà cosa avrebbe detto, lui che per un decennio è stato al vertice dell’Enel, della decisione del Consiglio di Stato di accogliere il ricorso di Greenpeace, Italia Nostra e Wwf avverso al progetto su cui da cinque anni l’Enel lavora finalizzato a sostituire la vecchia e ormai destinata alla chiusura centrale termoelettrica ad olio combustibile di Porto Tolle (Rovigo) con un impianto di ultima generazione a carbone “pulito” e ad alta efficienza.
Una decisione scellerata che rischia non solo di compromettere un investimento da 2,5 miliardi – di cui 1,8 erano già stati messi a gara – che doveva coinvolgere circa 400 imprese e produrre fino a tremila posti di lavoro nei sei anni di cantiere e 700 fissi per la gestione ordinaria, ma anche di privarci della possibilità di realizzare un forte abbattimento delle emissioni in atmosfera, come conseguenza dell’uso di tecnologie che realizzano le migliori prestazioni ambientali oggi esistenti e dell’utilizzo delle biomasse in combustione mista con il carbone.
Insomma, nonostante si fosse di fronte ad un’iniziativa destinata ad evitare la chiusura di un impianto fermo da tempo per usura e conclamata perdita di competitività, e a favorire l’economia e l’ambiente, qualche burocrate probabilmente privo di cognizioni tecniche e del senso delle conseguenze sociali dei propri atti, si è assunto la responsabilità di bloccare tutto, passando un tratto di spugna su un iter autorizzativo, nazionale e regionale, durato la bellezza di sei anni. E già, perché questa sentenza ribalta quella del Tar del Lazio, che un anno fa aveva respinto i ricorsi contro il “decreto di compatibilità ambientale” rilasciato nel luglio 2009 e sulla base della quale il ministero dello Sviluppo Economico, nel gennaio scorso, aveva emanato il “decreto autorizzativo” finale.
Il tutto dando credito non tanto ai soliti comitati locali – quelli che di solito producono l’effetto nimby, “non nel mio giardino” – quanto a soggetti che fanno campagne nazionali e internazionali, per i quali dovremo ora inventarci l’effetto “niyby”, che sta per “not in your back yard”. E che in questo caso il giardino sia altrui e che ai locali frequentatori del medesimo siano fortemente girate le scatole per questa intrusione, giudicata molesta, lo dimostra la reazione risentita degli operai dell’Enel e delle altre imprese coinvolte.
Come già era successo a Civitavecchia, sono loro che più e meglio di tutti testimoniano la contrarietà ad un modo tutto sbagliato di concepire il rapporto tra diritto, economia e ambiente, perché prima ancora di essere anti-industriale, contrario allo sviluppo economico, all’evoluzione tecnologica, in una parola alla modernità, risulta clamorosamente avulso dalla realtà. Ai legulei non passa neppure per l’anticamera del cervello di valutare l’eventuale danno che possono arrecare all’economia nazionale. In questo caso enorme, visto che la decisione presa dal Consiglio di Stato, rischia di cancellare non solo un investimento privato come pochi (purtroppo) se ne fanno in Italia, ma anche e soprattutto un progetto indispensabile per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici del Paese e per la riduzione del costo finale dell’energia che pagano imprese e famiglie. Vorrei tanto avere la possibilità di parlare con i signori della sesta sezione del Consiglio di Stato, e in particolare con Rosanna De Nictolis che la presiede, per sapere con quale criterio ed informazioni hanno giudicato.
Capire, per esempio, se hanno usato lo stesso criterio “fondamentale” del Tar del Lazio, che ha bloccato il rigassificatore di Porto Empedocle perché i tubi che gli dovrebbero portare il gas passano per una manciata di chilometri entro i confini di Agrigento e quell’ente locale non era stato convocato nella apposita conferenza dei servizi.
A proposito, il 13 giugno il Consiglio di Stato dovrà pronunciarsi proprio su quella controversia, è sperabile che lo faccia usando una volta tanto criteri valutativi sostanziali e non formali. Rimedi? Tre. Uno, quello specifico su Porto Tolle, è affidato alla speranza che lo stesso Consiglio di Stato nel formulare la motivazione della sentenza abbia l’intelligenza di indicare vizi attinenti la procedura, in modo da potervi porre rimedio senza costringere a ricominciare un iter che, come abbiamo visto, dura anni.
Gli altri due sono di carattere più generale: uno attiene alla durata degli iter autorizzativi, che va stabilita per legge e resa ragionevole come lo è in tutta Europa; l’altro riguarda la funzione dello Consiglio di Stato medesimo, cui va assegnato il compito di agire non più ex-post, ma in corso d’opera, per aiutare, suggerire, impedire che si commettano errori formali e sostanziali. In modo da evitare che la “repubblica basata sulle eccezioni” prevalga su quella “basata sul buonsenso”.
Una decisione scellerata che rischia non solo di compromettere un investimento da 2,5 miliardi – di cui 1,8 erano già stati messi a gara – che doveva coinvolgere circa 400 imprese e produrre fino a tremila posti di lavoro nei sei anni di cantiere e 700 fissi per la gestione ordinaria, ma anche di privarci della possibilità di realizzare un forte abbattimento delle emissioni in atmosfera, come conseguenza dell’uso di tecnologie che realizzano le migliori prestazioni ambientali oggi esistenti e dell’utilizzo delle biomasse in combustione mista con il carbone.
Insomma, nonostante si fosse di fronte ad un’iniziativa destinata ad evitare la chiusura di un impianto fermo da tempo per usura e conclamata perdita di competitività, e a favorire l’economia e l’ambiente, qualche burocrate probabilmente privo di cognizioni tecniche e del senso delle conseguenze sociali dei propri atti, si è assunto la responsabilità di bloccare tutto, passando un tratto di spugna su un iter autorizzativo, nazionale e regionale, durato la bellezza di sei anni. E già, perché questa sentenza ribalta quella del Tar del Lazio, che un anno fa aveva respinto i ricorsi contro il “decreto di compatibilità ambientale” rilasciato nel luglio 2009 e sulla base della quale il ministero dello Sviluppo Economico, nel gennaio scorso, aveva emanato il “decreto autorizzativo” finale.
Il tutto dando credito non tanto ai soliti comitati locali – quelli che di solito producono l’effetto nimby, “non nel mio giardino” – quanto a soggetti che fanno campagne nazionali e internazionali, per i quali dovremo ora inventarci l’effetto “niyby”, che sta per “not in your back yard”. E che in questo caso il giardino sia altrui e che ai locali frequentatori del medesimo siano fortemente girate le scatole per questa intrusione, giudicata molesta, lo dimostra la reazione risentita degli operai dell’Enel e delle altre imprese coinvolte.
Come già era successo a Civitavecchia, sono loro che più e meglio di tutti testimoniano la contrarietà ad un modo tutto sbagliato di concepire il rapporto tra diritto, economia e ambiente, perché prima ancora di essere anti-industriale, contrario allo sviluppo economico, all’evoluzione tecnologica, in una parola alla modernità, risulta clamorosamente avulso dalla realtà. Ai legulei non passa neppure per l’anticamera del cervello di valutare l’eventuale danno che possono arrecare all’economia nazionale. In questo caso enorme, visto che la decisione presa dal Consiglio di Stato, rischia di cancellare non solo un investimento privato come pochi (purtroppo) se ne fanno in Italia, ma anche e soprattutto un progetto indispensabile per la sicurezza degli approvvigionamenti energetici del Paese e per la riduzione del costo finale dell’energia che pagano imprese e famiglie. Vorrei tanto avere la possibilità di parlare con i signori della sesta sezione del Consiglio di Stato, e in particolare con Rosanna De Nictolis che la presiede, per sapere con quale criterio ed informazioni hanno giudicato.
Capire, per esempio, se hanno usato lo stesso criterio “fondamentale” del Tar del Lazio, che ha bloccato il rigassificatore di Porto Empedocle perché i tubi che gli dovrebbero portare il gas passano per una manciata di chilometri entro i confini di Agrigento e quell’ente locale non era stato convocato nella apposita conferenza dei servizi.
A proposito, il 13 giugno il Consiglio di Stato dovrà pronunciarsi proprio su quella controversia, è sperabile che lo faccia usando una volta tanto criteri valutativi sostanziali e non formali. Rimedi? Tre. Uno, quello specifico su Porto Tolle, è affidato alla speranza che lo stesso Consiglio di Stato nel formulare la motivazione della sentenza abbia l’intelligenza di indicare vizi attinenti la procedura, in modo da potervi porre rimedio senza costringere a ricominciare un iter che, come abbiamo visto, dura anni.
Gli altri due sono di carattere più generale: uno attiene alla durata degli iter autorizzativi, che va stabilita per legge e resa ragionevole come lo è in tutta Europa; l’altro riguarda la funzione dello Consiglio di Stato medesimo, cui va assegnato il compito di agire non più ex-post, ma in corso d’opera, per aiutare, suggerire, impedire che si commettano errori formali e sostanziali. In modo da evitare che la “repubblica basata sulle eccezioni” prevalga su quella “basata sul buonsenso”.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.