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Fisco a burocrazia

Rivolta contro lo Stato

Tasse ed evasione. Un circolo vizioso che rischia di provocare un salto di qualità: dall'antipolitica all'odio contro lo Stato

di Enrico Cisnetto - 28 luglio 2013

Stiamo giocando con il fuoco, se non si cambia atteggiamento finirà in fiamme l’intero paese. Mi riferisco al pericoloso crescendo cui stiamo assistendo di vessazioni burocratiche e ruvide verifiche fiscali, una miscela esplosiva che suscita – inevitabilmente – reazioni sempre più intolleranti da parte di chi le subisce.

In questi giorni la cronaca ci ha fornito due casi clamorosi: la serrata dei negozi Dolce&Gabbana, per protestare contro il folle atteggiamento del Comune di Milano, che dopo una condanna di primo grado per evasione fiscale – del tutto opinabile, per non dire contestabile – ha ritenuto i due stilisti come se già passati in giudicato e li ha trattati come reietti e affamatori del popolo; l’indignata reazione di Bernardo Caprotti ad un “blitz” di Inail, Asl, Direzione provinciale del lavoro, Inps, Carabinieri, Polizia, Guardia di Finanza e Guardia forestale (20 persone in totale) per controllare la regolarità di un cantiere (30 addetti di aziende terze) a Novara dove a fine 2012 sono iniziati i lavori per un nuovo Esselunga, conclusosi con 75 pagine di verbale capace di contestare solo la mancanza di qualche badge da parte di alcuni lavoratori.

Ma queste vicende, finite sotto i riflettori per via dei nomi famosi che hanno per protagonisti, sono solo la punta di un iceberg enorme, in cui sono mischiate pratiche burocratiche cervellotiche, lungaggini amministrative di tipo medievale (Esselunga per quei 7 mila metri quadrati a Novara è impegnata dal 1999), controlli fiscali inutilmente plateali e sempre più spesso rivolti a chi le tasse comunque le paga e magari commette errori formali. Attenzione, perché il mix di tutto questo è esplosivo, e porta non più solo all’anti-politica, ma ad una vera e propria ribellione contro lo Stato.

Sul fisco se n’è accorto anche il Pd (Fassina) che bisogna distinguere tra la dimensione criminale del fenomeno evasione e quella dovuta o allo stato di necessità o, a maggior ragione, a errori (quasi sempre ascrivibili a norme astruse e procedure complicate) e detrazioni di costi indebite. Diversità che ne merita altrettanta nei metodi e mezzi di repressione. So bene che l’evasione è molto rilevante e rappresenta, oltre che un reato, un mezzo indebito di concorrenza. Ancora ieri la Cgia di Mestre ci ha ricordato che in Italia ci sono 3 milioni di lavoratori in nero che producono oltre 100 miliardi di ricchezza (6,5% del pil) sottraendone all’Erario 43. Confcommercio quantifica il gettito mancante in 272 miliardi l’anno e stima l’intero sommerso essere pari al 17,4% del pil. Ma se nello stesso è vero che siamo il paese europeo e dell’Occidente con il più alto carico fiscale (per chi paga), immaginare che tra le due cose ci sia una relazione di causa ed effetto è davvero considerabile un pensiero politicamente scorretto? E in una fase di recessione come questa, è una bestemmia dire che una parte consistente dell’evasione è finalizzata alla pura sussistenza, e che trattarla – sul piano culturale prima ancora che pratico – come se fosse uguale a quella del criminale incallito o del ricco fottuto, è un errore tragico?

Il Paese oggi è sfiduciato, e in primis gli imprenditori – che hanno i loro difetti, sia chiaro – soprattutto per questo senso di forte oppressione che viene dallo Stato nelle sue diverse articolazioni. Fermare questo circolo vizioso farebbe innescare la ripresa più di qualunque altro provvedimento. (twitter @ecisnetto)

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.