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Ilva, Ansaldo, Fiat

Rivogliamo la politica industiriale

Difendere presidi industriali ad alta tecnologia e di grandi dimensioni, rari in un capitalismo ancora troppo piccolo e poco orientato all’innovazione è scelta politica decisiva per chi vuole fare davvero sviluppo.

di Enrico Cisnetto - 29 luglio 2012

Ilva, Ansaldo, Fiat. Tre facce di uno stesso problema – la crisi del capitalismo italiano – declinato in modo diverso: la mancanza di certezza del diritto e la conseguente difficoltà di fare impresa, il depauperamento del nostro apparato produttivo, la perdita di credibilità di certo management. Prendiamo il caso della più grande acciaieria d’Europa, ubicata a Taranto. La magistratura, dopo anni di indagini, ha di colpo deciso che la fabbrica va chiusa e i suoi dirigenti arrestati. Io non sono in grado di giudicare se gli investimenti che sono stati fatti per abbassare l’impatto ambientale di quella manifattura siano o meno sufficienti. So, però, che sequestrare un impianto intorno a cui ruotano 15 mila persone, tra diretti e personale di un indotto di alta qualità tecnologica che ha cambiato la vocazione di quel territorio, e procedere ad arresti che (come al solito) non rispondono ai tre requisiti per cui sono previsti (fuga, inquinamento prove, reiterazione reato) è atto tale non solo da compromettere il presente di quell’azienda e della sua filiera, ma anche il futuro dell’intero sistema industriale, visto che d’ora sarà ancora più bassa di quanto non sia già drammaticamente diventata la disponibilità di imprenditori italiani e capitali stranieri di investire in un paese dove la certezza del diritto (a cominciare dai suoi tempi) è variabile impazzita. Si dirà: ma non è vero che l’Italia non faccia gola, la polpa (buona, in certi casi ottima) delle partecipate Finmeccanica è nel mirino della giapponese Hitachi (Ansaldo Sts e Breda) e della tedesca Siemens (Ansaldo Energia) nonostante che la crisi abbia suonato anche alla sua porta. Giusto. Ma proprio perché le condizioni del nostro sistema-paese sono quelle che sono, che occorre stare attenti. Come ha giustamente ricordato Mucchetti sul Corriere della Sera, per un caso positivo (il Pignone andato alla Ge), ce ne sono stati tanti in cui le aziende finite in mani straniere sono state dissanguate (Telettra, Terni, Glaxo, ecc.). Siamo proprio sicuri che il futuro di Finmeccanica debba essere solo quello della difesa? E comunque, visto che il ministro Passera ha parlato di vigilanza del governo perché le Ansaldo finiscano in “mani adatte”, cosa c’è di più adatto delle mani dei management che quelle aziende hanno risanato e messe all’onor del mondo, aiutate finanziariamente dalla Cdp? Difendere presidi industriali ad alta tecnologia e di grandi dimensioni, rari in un capitalismo ancora troppo piccolo e poco orientato all’innovazione (con l’eccezione di chi esporta), è scelta politica decisiva per chi vuole fare davvero sviluppo. Così come è necessario arrivare ad un chiarimento con chi gestisce la Fiat. Marchionne, naturalmente, è libero di mandare a quel paese chi ritiene, ma farlo con la Volkswagen perché usufruisce di denaro a minor costo finisce per coinvolgere l’immagine e la politica dell’Italia, non della Fiat. Mister maglioncino farebbe meglio a ragionare sul perché le auto tedesche, e in particolare quelle della Vw dirette concorrenti delle Fiat, hanno grande successo mentre quelle che produce lui no, tanto da aver fatto crollare la quota di mercato, in Italia e in Europa, della casa torinese (si fa per dire). Marchionne vuole portare la Fiat negli Usa? È legittimo. Basta dirlo con chiarezza. Il governo glielo domandi a brutto muso, in modo da preparare contromisure. È soprattutto con la politica industriale che si combatte la recessione.

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.