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Dopo la pausa riprende il solito copione

Ritorno della politica o alla commedia?

I grandi problemi italiani: dai lavavetri al menu senza carne di Padoa-Schioppa

di Elio Di Caprio - 03 settembre 2007

Scaldiamo i motori, riprende il teatrino della politica e già sappiamo cosa ci aspetta. Non c"è solo il delitto di Garlasco che attende si essere morbosamente esibito e sociologicamente interpretato dai Vespa e dai Mentana. Ci sono i lava vetri messi in mora dagli sceriffi di sinistra a tolleranza zero per salvaguardare la sicurezza collettiva, i supertesoretti da spendere o da impiegare per ridurre il debito pubblico, le demagogie esemplari di chi, come il Ministro “tecnico” Padoa Schioppa , ha deciso di togliere la carne dal menu delle colazioni di lavoro del Tesoro tanto per risparmiare sui costi della politica. Intanto nella vicina Francia il nuovo presidente Nicolas Sarkozy ha profittato della pausa estiva per portare avanti il suo programma di riforme allargando ancor più la rosa dei suoi collaboratori a personaggi certamente non catalogabili a destra, dall"ex premier socialista Rocard, ai nostri Bassanini e Monti. Sarkozy ha trovato anche il tempo per lanciare il coraggioso e realistico messaggio, a futura memoria, che l"Europa dovrà collaborare con gli USA nell"ambito della difesa degli interessi comuni, senza per questo essere supina di fronte alle mosse di politica estera del nostro grande alleato atlantico. Da noi invece non ci si posiziona per fare, ma per continuare a recitare una improbabile rappresentazione di conflitti apparentemente insanabili immancabilmente coperti e deviati dall"interesse delle forze politiche in campo a lasciare inalterato il quadro complessivo di questo barcollante bipolarismo.

L"intellettuale Giulio Tremonti che ne sa sempre una più degli altri e sa vedere oltre, (è lui che ci ha avvertito in tempo del pericolo dell"invasione delle merci cinesi, è sempre lui che ci ha messo in guardia dai rischi di deriva di un populismo arrabbiato che accomuna gran parte dei paesi europei) supera lo stesso Sarkozy che in campagna elettorale aveva sognato di far rivivere la desueta abitudine degli allievi ad alzarsi in piedi all"entrata in aula di maestri e professori. L"ex Ministro dell"Economia vorrebbe una “rupture” con il passato ancora maggiore, auspica ora che ci sia ( o ritorni) l"alzabandiera nelle scuole per dare alle nuove generazioni la coscienza di un destino comune e nazionale : che ne dice Gianfranco Fini che da anni si vede scippare dalle altre forze della coalizione tematiche care al suo elettorato d"ordine ed è costretto anche lui, per non sfigurare, ad “andare oltre”, assecondando la fecondazione assistita o il voto agli immigrati, pur di togliersi di dosso l"immagine di una destra arretrata ed antimoderna? E che ne dice l"astuto Umberto Bossi che sappiamo bene che uso voleva fare della bandiera nazionale qualche anno fa? Sarebbe molto meglio che a destra o a quel che rimane del centro-destra dopo l"incerta defezione dell"UDC di Casini, si ragionasse e si riflettesse sugli errori compiuti nella scorsa legislatura, a cominciare dal machiavellismo d"accatto che ha spinto la vecchia maggioranza ad inventarsi una riforma elettorale boomerang che non solo ha permesso la vittoria di misura del fronte opposto, ma ha creato un problema di governabilità complessiva a cui ci si illude di porre riparo con il referendum . Nessuno può fare previsioni sull"andamento dei consensi elettorali, data la gabbia obbligata dell"attuale bipolarismo, ammesso che resti quale è, dopo le deludenti prove del governo Prodi che si sommano alle delusioni della passata legislatura. Forse è vero che il centrodestra è di nuovo maggioranza nel Paese se si votasse a breve. Ma pochi hanno prestato attenzione ad un"interessante indagine-studio dello scorso 15 agosto a cura del Sole “24 ore” che ha dimostrato come l"attuale legge elettorale sia stata l"unico sistema ad aver permesso al centro-sinistra, sia pure per il rotto della cuffia, di governare il Paese : se si fosse votato, invece che con il “porcellum”di Calderoli con il vecchio “Mattarellum” o con l"ancora più vecchio proporzionale della prima repubblica, o con un modello tedesco, la coalizione guidata da Silvio Berlusconi, seppure con margini variabili, avrebbe vinto alla Camera rispettivamente a 334 contro 295, a 330 contro 299, o a 316 contro 312. Analoghi margini di vittoria si sarebbero realizzati al Senato, e sarebbero stati ancora più consistenti se nelle circoscrizioni estere il centrodestra si fosse presentato unito.

Basterebbe un fatto del genere a dimostrare l"insipienza o la miopia tattica e strategica della coalizione di centrodestra che non ha profittato neppure della sua larga maggioranza nella scorsa legislatura per indirizzare una riforma costituzionale condivisa, mettendo così a punto due fallimenti consecutivi di due riforme, quella costituzionale e quella elettorale, controproducenti per se stessa e per gli altri. Ora il teatrino è ripreso, alimentato dalle contorte vicende del partito democratico la cui ultima ragion d"essere sembra risiedere proprio nel tentativo di fare fronte unitario al riemergere del fiume carsico dei moderati scontenti venuto alla luce e rinvigorito dagli errori dell"attuale maggioranza. A questo punto nuove leggi elettorali o riforme costituzionali che tutti dicono importanti e imprescindibili, da Veltroni a Fini, sono in realtà piegate agli interessi particolari delle spicciole contese per il potere. Walter Veltroni ha un bel dire a voler ridurre le 285 pagine del programma del centrosinistra a soli 10 punti. Ma chi lo ascolta? Ben venga la semplificazione, il rischio è però che si inneschi l"ennesima battaglia demagogica su promesse che in principio si sa di non poter mantenere. Ci sono bastate le “tre I” di Berlusconi. Senza pagar pegno alle mode esterofile sempre più dilaganti, il confronto con la Francia di Sarkozy lascia capire quanta strada dobbiamo ancora fare. Se la semplificazione nostrana si ferma a programmi irrealizzabili non si fa nessun passo avanti. Serve solo a rimuovere il vero problema irrisolto, quello della governabilità, resa sempre più difficile dalla scarsa coesione dei partiti dei poli che attualmente ci rappresentano.

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