L’ambizioso debutto dell’Associazione Amici
Ripartiamo da Ugo La Malfa
Passione e slancio ideale ricordando lo statista. Per superare questa stagione politicadi Eva Giovannini - 27 marzo 2007
In sala quasi tutti uomini, molti over cinquanta. Non sorprende, visto che il motivo dell’incontro è la commemorazione di un grande leader politico della Prima Repubblica, Ugo La Malfa. A ventotto anni dalla sua morte l’Associazione Amici di Ugo La Malfa gli ha reso omaggio cercando, come sottolinea Davide Giacalone, di non fare una commemorazione fine a se stessa “perché lui non l’avrebbe voluta”. Tra gli assenti all’appuntamento, il figlio Giorgio che, in una nota letta nell’introduzione da Enrico Cisnetto, si scusa ma “non poteva non essere presente alla commemorazione organizzata alla Camera”. Stesso giorno, stessa ora.
Il primo a ricordare La Malfa è Giacalone, che non vuole riprodurre l’atteggiamento dei vecchi repubblicani che “accendevano i lumini a Mazzini”, ma ridare voce a un uomo dimenticato, quello sì. “Perché La Malfa era un politico con la maiuscola, anzi era un combattente politico, niente a che vedere con quella tremula classe dirigente protagonista del biennio giustizialista ‘92-94”. E di questo, dice Giacalone, ne ha dato l’esempio lui stesso quando scoppiò lo scandalo per il finanziamento dei petrolieri ai partiti e La Malfa chiese di essere ricevuto dalla Procura della Repubblica per dire “Quei soldi li ho presi io”. Non venne neanche ascoltato, ma in quelle parole, sottolinea Giacalone, ci sarebbe stata tutta la forza di una rivendicazione e non di una confessione. Ben lontani da quello “speriamo che il mio nome non esca” degli anni di Tangentopoli.
Di La Malfa, poi, ricorda il ruolo di “bussola”, punto di riferimento di un partito in cui non mancavano certo posizioni diverse, ma nel quale alla fine “erano tutti lamalfiani”. Qual era l’Italia di La Malfa, e quale Paese troverebbe oggi? “Certamente ora siamo un Paese più laico, meno subalterno in politica estera, dove il terzomondismo mediterraneo ha fatto il suo tempo e in politica economica sta scomparendo l’avversità comunista e religiosa alla proprietà privata – prosegue Giacalone – ma ancora né il Partito democratico a sinistra, né il Partito delle libertà a destra, se mai nasceranno, sembrano avere le premesse per un vero rinnovamento, perché ancora una volta c’è l’Italia peggiore che conserva se stessa”. “Quello che manca oggi – conclude – è l’interprete di un sogno lamalfiano, capace di mettersi alla guida dei processi politici e degli interessi nazionali”.
Si alza Enrico Cisnetto, va dietro al microfono e premette che, per l’occasione, leggerà anziché parlare a braccio come suo solito, “chissà se c’è un risvolto psicologico in questo, credo proprio di sì”. Pur d’accordo con Giacalone sull’arbitrarietà nel dare a La Malfa una corrispondenza negli odierni schieramenti politici, Cisnetto sottolinea però che “l’attualità del suo pensiero lo rende passibile di una traduzione politica”. E se La Malfa “il Maestro” ci fosse oggi, sostiene, ripeterebbe ancora le sue scelte fondamentali, a favore della democrazia, della laicità dello Stato, del merito accompagnato dalla necessità del riequilibrio sociale, della difesa dell’occidente e della sua storia.
Fosse qui, prosegue, “ci direbbe che il Paese si trova in uno stato di declino” e ci ammonirebbe dal lasciare che questo declino si trasformi in decadenza “perché a quel punto ci vogliono generazioni per estirparla”. Ci direbbe di lavorare per colmare il gap che si sta creando con i Paesi in ascesa come l’Asia e ci ricorderebbe che il declino non è solo economico, ma anche della giustizia e delle istituzioni (“nelle mani di un idealismo senza statisti”). “Oggi, il vecchio Ugo, si batterebbe per eliminare i 120 livelli istituzionali che paralizzano il Paese, per gli stravolgimenti della Costituzione a colpi di maggioranza e soprattutto non accetterebbe di vivere in una Italia che ha cancellato il merito e che, tra l’essere e l’avere, ha scelto l’apparire”. E quando il presente è pessimo e il futuro indefinito, prosegue Cisnetto attualizzando il pensiero di La Malfa, “l’unica via di scampo è la politica, perché se non si risolve il problema dei problemi, il resto è tutto inutile”. Diceva, d’altronde, lo storico leader dei repubblicani che “chi ha un ruolo politico deve stare non uno, ma dieci passi avanti rispetto al Paese”. Il primato della politica, dunque.
L’eredità di questa Seconda Repubblica, invece, a partire dalla mancanza di una classe dirigente lungimirante e dal bipolarismo becero che ci ha lasciato, è pesantissima “e se fosse qui ci spronerebbe a dar vita a una Terza Repubblica, con un nuovo atto fondativo”. L’intervento si chiude con le parole che Ugo La Malfa pronunciò ai giovani repubblicani riuniti a Bologna, quando si dichiarò “pessimista sul futuro”, ma fiducioso che la nuova generazione “nata con la libertà” avrebbe saputo mantenerla. “Glielo dobbiamo”, conclude Cisnetto. E torna a sedersi.
Dal pubblico invece si alza Enzo Bianco (la prima di una serie di testimonianze di ex-repubblicani oltre ai relatori in programma), che apprezza l’atmosfera dell’incontro “lontano dai toni barocchi” e ricorda La Malfa collocandolo, nel contesto di allora, all’interno di una “sinistra democratica”. Segue l’intervento di Cesare Greco, che dell’ex leader dei repubblicani ricorda soprattutto il “coraggio di esprimere sempre le opinioni anche quando le avrebbe pagate con i voti”. Angelo Pappadà, che il 26 marzo del 1979 aveva solo diciotto anni, spiega che per lui ripartire da Ugo La Malfa significa “rompere la stasi e superare questo bipolarismo inefficiente”, mentre Luigi Tivelli, che quel 26 marzo era tra coloro che portavano la bara, si chiede quali scelte di politica istituzionale farebbe oggi La Malfa, rispondendo “che probabilmente inizierebbe dalle microriforme, come la modifica della legge finanziaria e dello statuto pubblico dei partiti”.
E ancora il ricordo di Aristide Gunnella, Widmer (Oliviero) Valbonesi e Antonio Duva, storico direttore de La Voce Repubblicana. A tirare le fila dell’incontro è Denis Ugolini, promotore insieme a Cisnetto e a Giacalone dell’iniziativa. Richiama i valori legati all’occidente che avevano ispirato l’agire politico di La Malfa, ricorda la sua concezione di partito, come uno “strumento coeso in grado di incidere sui processi di sviluppo del paese” e sottolinea il “vuoto di personalità di quella levatura” nel panorama politico attuale.
La sala non è piena, non lo è mai stata. Ma il sentimento che anima quanti hanno preso in mano il microfono è lo stesso di chi ha davanti una grande platea. Quel sentimento che deriva non solo dall’aver fatto parte di una stagione politica, ma dall’aver conosciuto direttamente l’uomo.
Il primo a ricordare La Malfa è Giacalone, che non vuole riprodurre l’atteggiamento dei vecchi repubblicani che “accendevano i lumini a Mazzini”, ma ridare voce a un uomo dimenticato, quello sì. “Perché La Malfa era un politico con la maiuscola, anzi era un combattente politico, niente a che vedere con quella tremula classe dirigente protagonista del biennio giustizialista ‘92-94”. E di questo, dice Giacalone, ne ha dato l’esempio lui stesso quando scoppiò lo scandalo per il finanziamento dei petrolieri ai partiti e La Malfa chiese di essere ricevuto dalla Procura della Repubblica per dire “Quei soldi li ho presi io”. Non venne neanche ascoltato, ma in quelle parole, sottolinea Giacalone, ci sarebbe stata tutta la forza di una rivendicazione e non di una confessione. Ben lontani da quello “speriamo che il mio nome non esca” degli anni di Tangentopoli.
Di La Malfa, poi, ricorda il ruolo di “bussola”, punto di riferimento di un partito in cui non mancavano certo posizioni diverse, ma nel quale alla fine “erano tutti lamalfiani”. Qual era l’Italia di La Malfa, e quale Paese troverebbe oggi? “Certamente ora siamo un Paese più laico, meno subalterno in politica estera, dove il terzomondismo mediterraneo ha fatto il suo tempo e in politica economica sta scomparendo l’avversità comunista e religiosa alla proprietà privata – prosegue Giacalone – ma ancora né il Partito democratico a sinistra, né il Partito delle libertà a destra, se mai nasceranno, sembrano avere le premesse per un vero rinnovamento, perché ancora una volta c’è l’Italia peggiore che conserva se stessa”. “Quello che manca oggi – conclude – è l’interprete di un sogno lamalfiano, capace di mettersi alla guida dei processi politici e degli interessi nazionali”.
Si alza Enrico Cisnetto, va dietro al microfono e premette che, per l’occasione, leggerà anziché parlare a braccio come suo solito, “chissà se c’è un risvolto psicologico in questo, credo proprio di sì”. Pur d’accordo con Giacalone sull’arbitrarietà nel dare a La Malfa una corrispondenza negli odierni schieramenti politici, Cisnetto sottolinea però che “l’attualità del suo pensiero lo rende passibile di una traduzione politica”. E se La Malfa “il Maestro” ci fosse oggi, sostiene, ripeterebbe ancora le sue scelte fondamentali, a favore della democrazia, della laicità dello Stato, del merito accompagnato dalla necessità del riequilibrio sociale, della difesa dell’occidente e della sua storia.
Fosse qui, prosegue, “ci direbbe che il Paese si trova in uno stato di declino” e ci ammonirebbe dal lasciare che questo declino si trasformi in decadenza “perché a quel punto ci vogliono generazioni per estirparla”. Ci direbbe di lavorare per colmare il gap che si sta creando con i Paesi in ascesa come l’Asia e ci ricorderebbe che il declino non è solo economico, ma anche della giustizia e delle istituzioni (“nelle mani di un idealismo senza statisti”). “Oggi, il vecchio Ugo, si batterebbe per eliminare i 120 livelli istituzionali che paralizzano il Paese, per gli stravolgimenti della Costituzione a colpi di maggioranza e soprattutto non accetterebbe di vivere in una Italia che ha cancellato il merito e che, tra l’essere e l’avere, ha scelto l’apparire”. E quando il presente è pessimo e il futuro indefinito, prosegue Cisnetto attualizzando il pensiero di La Malfa, “l’unica via di scampo è la politica, perché se non si risolve il problema dei problemi, il resto è tutto inutile”. Diceva, d’altronde, lo storico leader dei repubblicani che “chi ha un ruolo politico deve stare non uno, ma dieci passi avanti rispetto al Paese”. Il primato della politica, dunque.
L’eredità di questa Seconda Repubblica, invece, a partire dalla mancanza di una classe dirigente lungimirante e dal bipolarismo becero che ci ha lasciato, è pesantissima “e se fosse qui ci spronerebbe a dar vita a una Terza Repubblica, con un nuovo atto fondativo”. L’intervento si chiude con le parole che Ugo La Malfa pronunciò ai giovani repubblicani riuniti a Bologna, quando si dichiarò “pessimista sul futuro”, ma fiducioso che la nuova generazione “nata con la libertà” avrebbe saputo mantenerla. “Glielo dobbiamo”, conclude Cisnetto. E torna a sedersi.
Dal pubblico invece si alza Enzo Bianco (la prima di una serie di testimonianze di ex-repubblicani oltre ai relatori in programma), che apprezza l’atmosfera dell’incontro “lontano dai toni barocchi” e ricorda La Malfa collocandolo, nel contesto di allora, all’interno di una “sinistra democratica”. Segue l’intervento di Cesare Greco, che dell’ex leader dei repubblicani ricorda soprattutto il “coraggio di esprimere sempre le opinioni anche quando le avrebbe pagate con i voti”. Angelo Pappadà, che il 26 marzo del 1979 aveva solo diciotto anni, spiega che per lui ripartire da Ugo La Malfa significa “rompere la stasi e superare questo bipolarismo inefficiente”, mentre Luigi Tivelli, che quel 26 marzo era tra coloro che portavano la bara, si chiede quali scelte di politica istituzionale farebbe oggi La Malfa, rispondendo “che probabilmente inizierebbe dalle microriforme, come la modifica della legge finanziaria e dello statuto pubblico dei partiti”.
E ancora il ricordo di Aristide Gunnella, Widmer (Oliviero) Valbonesi e Antonio Duva, storico direttore de La Voce Repubblicana. A tirare le fila dell’incontro è Denis Ugolini, promotore insieme a Cisnetto e a Giacalone dell’iniziativa. Richiama i valori legati all’occidente che avevano ispirato l’agire politico di La Malfa, ricorda la sua concezione di partito, come uno “strumento coeso in grado di incidere sui processi di sviluppo del paese” e sottolinea il “vuoto di personalità di quella levatura” nel panorama politico attuale.
La sala non è piena, non lo è mai stata. Ma il sentimento che anima quanti hanno preso in mano il microfono è lo stesso di chi ha davanti una grande platea. Quel sentimento che deriva non solo dall’aver fatto parte di una stagione politica, ma dall’aver conosciuto direttamente l’uomo.
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.