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Public Policy

L'Europa sotto attacco

Rinascere solidali e liberali

Il mercato è diventato uno strumento di sopraffazione e di guerra nelle mani di pochi ed occulti “strateghi”. E la politica si è trovata incapace ad imporre le regole, perché la sua autorità è nazionale, mentre il capitale non ha confini.

di Angelo Romano - 01 agosto 2012

La speculazione che aggredisce gli anelli deboli dell’inerme “Europa dei trattati” al fine di trarre il maggior profitto possibile dalla scommessa sulla dissoluzione dell’Euro, mostra il lato peggiore del capitalismo finanziario. Forse il limite ultimo, esasperato e perverso dell’idea liberale: la concretizzazione dell’”homo homini lupus”, tema approfondito da Hobbes e che sintetizza il concetto di egoismo elevato a sistema, la cui conseguenza è la pratica generalizzata e diffusa del “mors tua vita mea”.

E’ esattamente quel che sta accadendo. Come in una guerra selvaggia e senza regole, la speculazione, anonima e sfuggente, per brama di profitto morde al collo le sue vittime designate, incurante se l’oggetto delle sue “attenzioni” sono interi popoli, incurante dei suicidi per disperazione, di coloro che perdono lavoro, dignità e speranze, di intere generazioni macellate e precarizzate cui viene sottratto anche il futuro.

Eppure il capitalismo ha avuto radici etiche, come ci ha spiegato Max Weber ne “L’etica protestante e lo spirito del capitalismo”. I mercanti che mettevano in relazione il mondo, perseguivano sì il profitto, ma all’interno di un codice etico, nel rispetto della parola data, dell’impegno assunto, di un principio di solidarietà, sia pure corporativa. Amavano il rischio, l’avventura, la scoperta, la relazione ed il giusto compenso.

Anche l’impresa, creatrice di lavoro e di ricchezza individuale e collettiva, ha sempre avuto ancoraggi etici fatti di responsabilità, di senso del dovere, di amore per l’intrapresa, di orgoglio e legittima soddisfazione per le opere realizzate, gli obiettivi raggiunti, la concorrenza piegata in confronti a viso aperto e mai all’ombra dell’anonimato. A volte anche sfruttando, prevaricando, approfittando della debolezza delle controparti. Tuttavia le regole, le leggi, le mediazioni, le lotte hanno sempre fatto sì che si trovasse un punto di coesione, di intesa, di collaborazione possibile.

Poi le guerre, scoppiate quasi sempre per ragioni di “profitto”, hanno puntualmente seppellito sotto cadaveri e sangue tutto quanto si era faticosamente raggiunto. Eppure c’è sempre stata una ripartenza, un risorgere dalle macerie, alimentati dalla speranza, da un’idea di progresso, dal vincolo di solidarietà che unisce i popoli in comunità di destini.

E’ quindi arrivata la guerra fredda, basata sulla deterrenza muscolare, sulla minaccia di annientamento, sull’incomparabile potenzialità distruttiva accumulata esclusivamente dalle “superpotenze”, la colonizzazione “per blocchi” è diventata, giocoforza non più militare, ma economica, paraculturale, consumistica. Il modello capitalistico si è adeguato alle nuove regole del gioco e della guerra, ha dispiegato tutto l’immenso potenziale consumistico accumulato utilizzandolo come deterrente “di blocco” finché il blocco avverso non si è dissolto per la sua incapacità ad opporre consumo a consumo.

Senza più avversari, senza più deterrenza, il modello cosiddetto “occidentale” ha trionfato, dilagando per l’intero pianeta ormai “globalizzato”. Ed è accaduto un fatto nuovo ed imprevisto: un inversione di polarità, la politica, che non ha la stessa portata globale dell’economia, è andata sotto, è diventata polo sud, soppiantata, come stella polare, dall’economia, in particolare dalla finanza.

Nel frattempo la guerra si è sofisticata, è diventata sempre più tecnologica, chirurgica, capace di radere al suolo senza fare vittime o di fare vittime senza radere al suolo, per godere della conquista senza il fastidio della ricostruzione. Lo stesso ha fatto il capitalismo, si è “ingegnerizzato”, si è conglomerato spersonalizzandosi, ed è divenuto capace di fare vittime senza radere al suolo, di asfissiare senza uccidere, di piegare gli Stati ai suoi interessi. Il mercato, da magico e salvifico autoregolatore, è diventato uno strumento di sopraffazione e di guerra nelle mani di pochi ed occulti “strateghi”. E la politica si è trovata incapace ad imporre le regole, perché la sua autorità è confinata in uno Stato, mentre il capitale non ha patria né confini, né leggi univoche cui sottostare.

Nella vecchia Europa sotto attacco è scattato un riflesso di autoconservazione che si è concretizzato, in più parti, in governi di larghe intese, di grandi coalizioni, di emergenza nazionale. Spesso abbracci forzati “a denti stretti” tra forze politiche che mai avrebbero voluto avere nulla in comune.

Eppure in questo riflesso, dettato dall’inconscio collettivo dei popoli, vi è il seme di una possibile rinascita. Se la storia è maestra di vita tale che da essa occorre trarre, senza paraocchi ideologici, tutto quel che c’è di buono, se le ideologie sono implose e tramontate, allora perché non conciliare, coniugare insieme, stabilmente ed organicamente e non solo episodicamente, il principio della libertà, proprio del liberalismo, con quello della solidarietà, radice del socialismo?

In Francia, che è paese liberale, Hollande, il socialista, sta dando l’esempio. Le sue prime decisioni sono liberali, socialiste o liberal-socialiste? Come qualificare la messa all’asta di tutte le auto blu e la devoluzione del ricavato al fondo welfare accompagnata da una circolare ai dirigenti pubblici con invito a comprarsi un’auto, visti i lauti guadagni ed un provvedimento per l’assunzione di 2500 scienziati (per aumentare la competitività della nazione) con l’abolizione dei costi di gestione del parco vetture? E la cancellazione di ogni scudo fiscale qualificato come socialmente immorale? E l’aumento dell’aliquota fiscale al 75% per chi guadagna oltre 5 milioni di euro per dare lavoro a 60.000 disoccupati? E che dire dell’abolizione di oltre due miliardi di sovvenzioni statali alla chiesa per finanziare 4500 nuovi asili nido e 3700 scuole elementari, del “bonus cultura” grazie al quale chi apre una libreria assumendo almeno due addetti non paga tasse, dell’abolizione dei contributi statali all’editoria al cui sostegno provvederanno comitati di imprenditori statali, della misura che prevede sgravi per i crediti bancari concessi ad imprese produttive e la correlata tassa per chi vende strumenti finanziari? Per non parlare della decurtazione del 25% degli stipendi dei funzionari governativi, del 32% per i parlamentari e del 40% dei dirigenti statali che guadagnano più di 800.000 Euro l’anno, al fine di finanziare l’educazione dei figli da parte delle madri sole per i primi cinque anni? Il tutto senza alterare gli equilibri di bilancio, facendo calare il famigerato “spread” ed incrementando la competitività nazionale.

Sarebbe sciocco accapigliarsi sulla qualificazione politica, o peggio ideologica, di tali misure: sono di sinistra o di destra? Sono di sintesi. Forse la ricetta giusta sta proprio nella sintesi.

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