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Non basta né stare allegri né essere apocalittici

Ridiamo fiducia all'Italia

Cose da fare per fronteggiare l’emergenza crisi prima e uscire dalla recessione poi

di Enrico Cisnetto - 28 novembre 2008

Non basta. Non basta né “stare allegri” (Governo versione Berlusconi), né evocare “la fine del mondo” (Governo versione Tremonti). Anzi, è deleterio presentare agli occhi di un Paese che cerca disperatamente di capire cosa gli sta succedendo intorno, un esecutivo che al proprio interno valuta e affronta la crisi in modo diametralmente opposto. Così come non basta fronteggiare l’emergenza, se insieme non si considera la dimensione strutturale della crisi “tutta italiana”, preesistente il crack finanziario internazionale, e se, di conseguenza, non si coordinano le scelte di breve momento con quelle di medio e lungo. E anche volendo focalizzarsi sulle misure anti-recessione, non basta tentare di “versare benzina nel motore”, sperando che le iniziative di carattere sociale si trasformino virtuosamente in consumi.

Primo perché finora i provvedimenti di questo tipo non hanno fatto minimamente aumentare la domanda interna, sia perché sono state sempre compensate da collaterali incrementi della pressione fiscale (in particolare dei tributi locali), sia perché vivevano la contraddizione di essere troppo grandi per il bilancio dello Stato e troppo piccoli per i beneficiari, sia infine perché quel poco che è rimasto nelle tasche delle famiglie è servito a ricostituire quote di risparmio intaccate per mantenere inalterato il potere d’acquisto. Secondo, perché se si vuole affrontare la recessione indotta dalla crisi internazionale insieme con la nostra “crescita zero” degli ultimi anni, bisogna puntare soprattutto sulle imprese – i consumi verranno virtuosamente “dopo”, non forzosamente (ammesso che ci si riesca) “prima” – e su questo fronte finora si sono ascoltate solo buone intenzioni, a cominciare dalla “moral suasion” verso le banche perché non chiudano i rubinetti del credito.

Si dirà: ma se non basta ciò che il Governo sembra abbia in animo di fare, cosa si propone in alternativa? La prima e preventiva indicazione è l’appello politico-metodologico che da tempo mi permetto di avanzare: affrontare emergenza e declino insieme. Il secondo suggerimento discende dalla convinzione che l’attuale frenata di consumi e investimenti derivi solo in parte – direi al massimo per un terzo, fatto 100 il problema – da una reale condizione di impossibilità a spendere, e che, viceversa, sia il frutto di una condizione psicologica, tanto degli imprenditori quanto dei consumatori, fatta di sfiducia, preoccupazione, rifiuto del nuovo e delle sfide, ripiegamento su se stessi. Insomma, non si consuma e non si investe oggi non perché manchino i soldi, ma perché si ha paura che domani sia peggio e si tende a mettere fieno in cascina. Ma se questo è vero – e basterebbe tastare il polso al Paese per capirlo – allora prima delle risorse economiche bisogna immettere nel sistema quella commodity sempre più rara che si chiama fiducia. Che non si crea con la politica falsamente rassicurativa del sorriso e della pacca sulla spalla, né tantomeno con quella del dar la colpa alla “globalizzazione cattiva”, facendo intendere che la crisi è planetaria e noi non ci possiamo fare granché. Bensì, si genera parlando con franchezza agli italiani e dando loro la certezza che si hanno le idee chiare tanto sulla diagnosi quanto sulla terapia da adottare.

Sapendo che – come per ogni malato – spaventa di più la sensazione di inadeguatezza del medico rispetto alla crudezza della prognosi e alla sofferenza che generano le cure. Quanto alle specifiche misure da prendere, una volta assunto che è più efficace il percorso “investimenti-crescita-reddito-consumi” rispetto a quello “consumi-crescita-investimenti”, e dunque che è meglio privilegiare le imprese alle famiglie, occorre fare scelte congiunturali ma capaci di produrre conseguenze strutturali e scelte strutturali che pur andando a regime nel medio-lungo periodo siano capaci di produrre reddito aggiuntivo progressivamente ma fin da subito. A questa seconda categoria appartengono gli investimenti in infrastrutture materiali e immateriali, prime fra tutte quelle dei trasporti e della messa in sicurezza di edifici e impianti – necessarie per evitare il collasso del Paese (tra treni e aerei ci siamo vicini) e per non piangere più morti assurde e niente affatto casuali – per la cui realizzazione occorre sì forzare i parametri europei, ma anche e soprattutto convertire quote di spesa pubblica corrente in investimenti in conto capitale (vedi Tre palle un soldo del 7 novembre). Quanto alle scelte più immediate, bene quelle che immettono liquidità nel sistema e nello stesso tempo incidono su vecchi vizi italici. Giusta quella di cui si parla sui tempi di pagamento dell’Iva, ma ancor meglio la proposta che mi sono permesso di avanzare: le amministrazioni pubbliche paghino subito e in un colpo solo le forniture eccedenti i 90 giorni di dilazione (oltre 10 miliardi), visto che nel 2007 i tempi medi di pagamento sono arrivati a 135 giorni (in Europa 65) con punte oltre i 300. Ma ci sarà tutta questa lungimiranza?

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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.