Le vicende Bnl e Antonveneta
Ricordate l’Ambrosiano?
Tra regolamenti di conti, crociate protezioniste ed errori di Consob e Bankitaliadi Enrico Cisnetto - 06 maggio 2005
Non c’è niente di peggio che far camminare le idee buone sulle gambe sbagliate. Viene da pensare a questa massima osservando, con una certa desolazione, la “guerra per banche” che sta per l’ennesima volta insanguinando il capitalismo italiano, con l’ausilio di giornalisti-pistoleros, e l’evolversi del dibattito intorno ad essa, come al solito intriso di opportunismo e animato da un nugolo di ineffabili voltagabbana. Partiamo proprio da qui, dalle idee, lasciando ad altri il razzolare nella porcilaia.
In ballo ci sono due strumenti ugualmente legittimi e necessari nell’economia moderna – il mercato e la politica industriale – cui corrispondono altrettanti valori, che per brevità potremmo riassumere nella trasparenza e nell’uguale condizione di tutti i soggetti economici, nel primo caso, e nell’interesse nazionale, nel secondo caso. Dietro entrambi ci sono interessi, tutti legittimi fintanto che sono espliciti e rispettosi delle leggi. Purtroppo, l’ideologizzazione del dibattito nostrano ha finito per far perdere di vista il fatto che mercato e politica industriale sono mezzi, non fini, e come tali vanno usati e giudicati. E questo, di conseguenza, ha consentito che il gioco degli interessi venisse alterato, nascondendone taluni (spesso dietro chi fa opera di moralismo), inverandone tal’altri puramente virtuali (quelli più aulici) e perfino legittimandone pubblicamente alcuni del tutto indifendibili ma ben mascherati (appunto le gambe sbagliate su cui si fanno camminare le idee buone). Insomma, una follia. E, d’altra parte, come si può altrimenti definire uno scontro che divide regole di mercato e interesse nazionale, non nel tentativo di far prevalere l’uno sull’altro, ma in quello assurdo di annientare l’uno o l’altro? Solo chi è preso da un sacro furore ideologico – oppure ha da nascondere qualcosa – può pensare che si tratti di due strumenti alternativi. Ma come si fa a dire che è solo il mercato a dover e poter regolare lo sviluppo di un Paese e il benessere dei suoi cittadini, quando si tratta di quello stesso mercato dove con la benedizione un po’ di tutti si sono calpestati i principi contabili più elementari ai tempi della new economy o dove ogni giorno si gonfia irresponsabilmente la bolla immobiliare (come si vede non parlo di casi penalmente rilevanti come quelli di Cirio e Parmalat). O, al contrario, come si può pensare che in nome dell’interesse nazionale possa essere perpetrato qualunque delitto ai danni del mercato e delle sue regole? E’ del tutto evidente che in una società matura ed equilibrata, il governo, il parlamento, le istituzioni preposte e gli attori che recitano sul palcoscenico dell’economia devono saper trovare il giusto punto di equilibrio tra i due strumenti, e tra i valori che rappresentano, in nome del bene comune. Niente mercato fine a se stesso, niente interesse nazionale senza mercato.
Proviamo ora a calare questo ragionamento nelle vicende Bnl e Antonveneta, avendo ben a mente che si tratta di due situazioni assai diverse. Partiamo da ciò che si sarebbe dovuto fare e non è stato fatto. Una classe dirigente degna di questo nome non può svegliarsi di fronte al fatto compiuto, deve prevenire. In questo caso, il sistema politico (il governo con gli strumenti operativi che ha, ma anche l’opposizione con il senso di responsabilità che gli dovrebbe essere proprio), la Banca d’Italia e l’establishment economico-finanziario avrebbero dovuto sedersi intorno ad un tavolo e ragionare per tempo su come affrontare il nodo del sistema bancario nazionale (dimensioni, proprietà, ruolo) in una fase storica in cui globalizzazione mondiale e moneta unica europea stanno radicalmente cambiando le condizioni di mercato e i processi decisionali. Niente. Anzi, furiose (e folli) guerre intestine: sulle fusioni, sulle fondazioni bancarie, sulla banca centrale, sull’intreccio tra banche e imprese. Non un barlume di progettualità, non un briciolo di pragmatismo. Solo scontro ideologico: via libera agli stranieri in nome del libero mercato, e chi se ne importa se significa consegnar loro l’intero capitalismo italiano; fermi tutti, e in nome dell’interesse nazionale qualsiasi mezzo è lecito. Risultato? Ecco le opa su Bnl e Antonveneta, cui si può star certi ne seguiranno altre ancora più importanti da parte di gruppi stranieri. In tutto questo, il governo tace in nome dell’imparzialità, che però io trovo più appropriato chiamare deresponsabilizzazione. La politica si divide in partiti trasversali, con ridicoli cambi di fronte. La Consob non vede al di là della forma (il “concerto” nel caso Bpl-Antonveneta è palese). Bankitalia temporeggia per troppo tempo – usando la moral suasion, il caso Bnl si poteva risolvere ben prima che si formassero patti e contropatti – e quando interviene o si fa scrupoli inutili (perchè non autorizzare Caltagirone a comprarsi le quote di Ricucci e Coppola?) o sbaglia cavallo (come si fa a difendere Padova usando la bulimica Popolare di Lodi, che pur cresciuta ad estrogeni è un terzo dell’Antonveneta e che ha più debiti che depositi, pari a 1,1 volte contro lo 0,4 medio del sistema?).
Le conseguenze sono terribili. Il clima sembra essere tornato quello dei tempi bui dell’Ambrosiano. La magistratura è rimessa al centro del ring, e qualcuno comincia a ricordare il ’92-’94. E il sistema appare in uno stato di progressiva decomposizione, rendendo sempre più arduo il tentativo di arginare il declino (quando qualcuno ci proverà). (da “Il Foglio” del 6 Maggio 2005)
Proviamo ora a calare questo ragionamento nelle vicende Bnl e Antonveneta, avendo ben a mente che si tratta di due situazioni assai diverse. Partiamo da ciò che si sarebbe dovuto fare e non è stato fatto. Una classe dirigente degna di questo nome non può svegliarsi di fronte al fatto compiuto, deve prevenire. In questo caso, il sistema politico (il governo con gli strumenti operativi che ha, ma anche l’opposizione con il senso di responsabilità che gli dovrebbe essere proprio), la Banca d’Italia e l’establishment economico-finanziario avrebbero dovuto sedersi intorno ad un tavolo e ragionare per tempo su come affrontare il nodo del sistema bancario nazionale (dimensioni, proprietà, ruolo) in una fase storica in cui globalizzazione mondiale e moneta unica europea stanno radicalmente cambiando le condizioni di mercato e i processi decisionali. Niente. Anzi, furiose (e folli) guerre intestine: sulle fusioni, sulle fondazioni bancarie, sulla banca centrale, sull’intreccio tra banche e imprese. Non un barlume di progettualità, non un briciolo di pragmatismo. Solo scontro ideologico: via libera agli stranieri in nome del libero mercato, e chi se ne importa se significa consegnar loro l’intero capitalismo italiano; fermi tutti, e in nome dell’interesse nazionale qualsiasi mezzo è lecito. Risultato? Ecco le opa su Bnl e Antonveneta, cui si può star certi ne seguiranno altre ancora più importanti da parte di gruppi stranieri. In tutto questo, il governo tace in nome dell’imparzialità, che però io trovo più appropriato chiamare deresponsabilizzazione. La politica si divide in partiti trasversali, con ridicoli cambi di fronte. La Consob non vede al di là della forma (il “concerto” nel caso Bpl-Antonveneta è palese). Bankitalia temporeggia per troppo tempo – usando la moral suasion, il caso Bnl si poteva risolvere ben prima che si formassero patti e contropatti – e quando interviene o si fa scrupoli inutili (perchè non autorizzare Caltagirone a comprarsi le quote di Ricucci e Coppola?) o sbaglia cavallo (come si fa a difendere Padova usando la bulimica Popolare di Lodi, che pur cresciuta ad estrogeni è un terzo dell’Antonveneta e che ha più debiti che depositi, pari a 1,1 volte contro lo 0,4 medio del sistema?).
Le conseguenze sono terribili. Il clima sembra essere tornato quello dei tempi bui dell’Ambrosiano. La magistratura è rimessa al centro del ring, e qualcuno comincia a ricordare il ’92-’94. E il sistema appare in uno stato di progressiva decomposizione, rendendo sempre più arduo il tentativo di arginare il declino (quando qualcuno ci proverà). (da “Il Foglio” del 6 Maggio 2005)
L'EDITORIALE
DI TERZA REPUBBLICA
Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.