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Public Policy

Giudicare, assolvere, commemorare

Ricordando Bettino

Ma Craxi dov'era quando il debito pubblico cresceva sempre di più?

di Elio Di Caprio - 22 gennaio 2008

Troppo presto per commemorare Bettino Craxi a otto anni dalla morte? Se ci fosse Craxi oggi cosa farebbe e direbbe? Ma forse è meglio andare indietro e domandarsi quale spazio avrebbe mai avuto il leader socialista se non fosse sopravvenuto l"assassinio di Aldo Moro nel 1978 a sconvolgere il quadro politico di allora. C"è poi l"interrogativo principe senza risposta su quale sarebbe stato il percorso di Craxi se il muro di Berlino fosse caduto qualche anno prima del 1989 depotenziando così il più forte partito comunista dell"Europa Occidentale, quello italiano.

Non è andata così e la storia non si fa con i se. Craxi come tanti altri leaders di spessore inferiore al suo ha dovuto pagare pegno alle intime contraddizioni della storia italiana ed ai suoi grovigli irrisolti, ai trasformismi, alle divisioni campanilistiche ed ideologiche, all"altalena ricorrente tra ansie di rinnovamento e istinti di conservazione.

Il Craxi dell"esilio ad Hammamet si interrogava, almeno a sentire chi gli è stato più vicino in quel periodo, su cosa significasse essere socialisti nel mondo d"oggi, si faceva riprendere dalla televisione con una catasta di libri a fianco su cui era in bella vista il saggio di Renzo De Felice su “Mussolini giornalista”. Secondo le memorie del cognato Pillitteri e della figlia Stefania era insofferente delle retoriche ufficiali e andava dichiarando che il decisionista Mussolini era stato tra i grandi urbanisti dell"Italia moderna. Ammirazione o nostalgie autoritarie di chi aveva cercato invano di accreditarsi come l"uomo nuovo anti Dc e anti PCI in grado di pilotare l"Italia con un nuovo progetto modernista e pragmatico già prima del tramonto delle ideologie? Può darsi, ma non è solo questo. Il giovane Bettino Craxi era stato per anni il delfino di Pietro Nenni, primo segretario del partito socialista italiano del dopo guerra, quello stesso Nenni che prima di prendere le distanze dai comunisti del Fronte Popolare era stato insignito del premio Stalin per la pace. Negli anni "80 aveva patrocinato il coraggioso convegno internazionale di Venezia sul dissenso nei Paesi comunisti dell"est europeo. Ma va pure ricordato che il PSI di Craxi degli anni "90 - tutti hanno interesse a dimenticarlo - divideva il potere centrale con la DC e gran parte del potere locale e sindacale con i comunisti. Il partito comunista non aveva ancora messo allo scoperto la sua pruderie antisocialista poi ampiamente riscoperta e cavalcata nel corso di Tangentopoli in nome della “questione morale”. A sbarrargli la strada ha poi trovato Silvio Berlusconi, già adepto e amico di lunga data del segretario socialista. A questo punto dovremmo fare tutt"uno tra il Craxi a suo modo socialista e Berlusconi magari anch"egli socialista?

Dalle memorie di Antonio Tatò, il più stretto collaboratore di Enrico Berlinguer, apprendiamo che il segretario del PCI considerava Craxi il nemico numero uno, l"avventuriero pericoloso disposto a tutto, anche a prendere una deriva “fascista” e autoritaria, come allora si diceva, pur di rafforzare il potere di un partito che non era andato mai oltre il 13% dei consensi elettorali. Si corre il rischio veramente di cadere nel grottesco e di non raccapezzarsi più se , al di là della propaganda, non si tengono insieme e non si riannodano i tanti e contraddittori fili sparsi della complessa storia italiana di mezzo secolo.

Certo che fa simpatia la franca spavalderia dell"ultimo Craxi diventato il principale accusato del sistema di corruzione scoperchiato da Tangentopoli quando invita i parlamentari a togliere ogni velo di ipocrisia e ad ammettere che tutti i partiti si finanziavano illegalmente, a partire dal partito comunista che, come riconosciuto anni più tardi da Gianni Cervetti, non aveva mai smesso o rinunciato ai fondi neri provenienti dall"ex URSS. Ma è proprio quell"ultimo discorso da uomo libero di Craxi in Parlamento ad evidenziare nel lessico e nello stile, nei riferimenti obbligati ai concetti retorici allora imperanti, un residuo di dialettica superata dai tempi che sarebbe stato presto soppiantata dal nuovo modello di comunicazione diretta fatto proprio da quel Silvio Berlusconi che, con il consenso di Craxi, avrebbe sparigliato i giochi dell"incipiente “Seconda Repubblica”. Nessuno può impedire l"agiografia affettiva di Bettino Craxi facendo egli parte comunque di un pantheon di personaggi consistenti e certamente non “liquidi” che, al di là delle ideologie, offrivano una credibilità maggiore dei nuovi arrivati che da 15 anni animano il teatrino della politica italiana. Ma non basta. Vista la velocità dei cambiamenti dell"ultimo ventennio forse gli otto anni passati non sono pochi per giudicare ( almeno parzialmente) più che commemorare la parabola di Craxi ed il suo significato sulla scorta anche di quanto successo dopo : transizione ingarbugliata e infinita, macigno del debito pubblico e svolta euro, rigetto corale dell"attuale classe politica.

Ma a proposito del debito pubblico -paghiamo ancora, e chissà per quanto tempo ancora, 60 o 70 miliardi di euro all"anno per interessi - qualche riflessione va fatta sulla base di dati obbiettivi. Sergio Romano ha prodotto recentemente una cartella incontrovertibile dello Studio Ambrosetti su quella che è stata l"eredità più dannosa della Prima Repubblica. Nel 1983 (governi Craxi e Fanfani) il debito pubblico raggiunge il 69,93% del pil, nel 1984 ( governo Craxi) siamo al 74,40. Nel 1985 ( governo Craxi) si arriva all"80,50, nel 1986 (governo Craxi) cresce ancora all"84,50, nel 1987 ( governi Craxi, Fanfani e Goria) all"88,60. E poi con gli altri governi di coalizione tra democristiani e socialisti si arriva al 90,50 nel 1988, al 93,10 nel 1989, al 94,70 nel 1990, al 98% nel 1991, al 105,2 nel 1992, al 115,60 nel 1993. Sono lì molte delle premesse del declino attuale.

Negli stessi anni, nel 1992, pur con una situazione finanziaria così disastrata, l"Italia di Craxi, Andreotti, e Forlani accettava di essere ingabbiata nell"euro di Maastricht. Sono questi i fili non persi della nostra storia che ancora condizionano la vita quotidiana degli italiani. Non è una responsabilità di cui può spogliarsi la figura storica di Craxi. Senza che questo nulla tolga ad un"analisi spassionata dei meriti di una personalità politica complessa come quella dell"ex capo socialista.

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