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Public Policy

Tra il dire e il fare ci si mettono anche i referendum

Resteremo fermi e divisi

Le tossine di una battaglia propagandistica senza esclusione di colpi

di Elio Di Caprio - 08 giugno 2011

Non si può certo dire che il “governo del fare”, tra roboanti annunci e poche realizzazioni pratiche, ci abbia educato o abituato ad essere un “ popolo del fare” in grado di scegliere pragmaticamente su quali riforme puntare o respingere utilizzando l’arma referendaria che già in passato è stata stravolta, deviata o sconfessata.

Quando la posta in gioco con i prossimi referendum sembra diventare addirittura la sopravvivenza del governo Berlusconi non c’è da meravigliarsi che i protagonisti di questo bipolarismo moribondo non abbiano neppure il coraggio di scannarsi sul contenuto dei quesiti referendari, ben sapendo che i conti del potere si regoleranno altrove e in ambiti ben diversi che poco hanno a che fare con i risultati della prossima consultazione. Il popolo è sovrano e benvenuto quale che sia il risultato dei referendum, così viene furbescamente annunciato proprio da coloro che fino a ieri hanno imposto il giogo bipolare ad un elettorato a cui non è stato neppure consentito di scegliersi i propri rappresentanti.

La democrazia diretta sembra il rimedio estremo, accettato o cavalcato per dare un segnale e ricevere la conferma di un cambiamento di clima che a soli tre anni dal trionfo elettorale di Lega e PDL, sembrava fino a ieri impensabile. Questi referendum diventati importantissimi all’indomani della recente sconfitta elettorale del centro destra non sono stati patrocinati dal partito Democratico che ora pure si vanta di essere l’asse portante dell’opposizione, ma dalla formazione minoritaria di Antonio Di Pietro, quella che Walter Veltroni aveva scelto- si è sempre parlato di un passo improvvido e sbagliato che ora sembra rivelarsi prezioso- come alleato privilegiato nelle ultime elezioni politiche.

Non è piuttosto imbarazzante per la sinistra della svolta, quella del “vado per conto mio e chi ci sta ci sta” che il segnale eccentrico di un cambiamento di clima sia pervenuto prima dalle candidature dirompenti e vittoriose di De Magistris a Napoli e di Pisapia a Milano e poi dai referendum di Di Pietro, sottovalutati e ora enfatizzati come l’ultima spiaggia di questa legislatura per liberarsi dalla gabbia del berlusconismo? La cosa più importante sembra una sola : dare l’ultima (?) spallata al governo.

Le contraddizioni e i distinguo della sinistra riformista sui temi referendari sono acqua passata, è l’ora di dimostrare che da una parte c’è il bene e dall’altro c’è il male, la differenza è solo tra chi l’ha sempre detto e chi se ne accorge ora. La “svolta” si ottiene meglio mettendo assieme quesiti eterogenei, dall’acqua, al nucleare, al legittimo impedimento e pretendendo una risposta corale e sommaria dei cittadini, senza se e senza ma.

Ma se un referendum a metà legislatura sta diventando più decisivo di un responso elettorale vuol dire che il sistema tendenzialmente bipartitico voluto da Veltroni e da Berlusconi si è ulteriormente inceppato, si è dimostrato contro tutte le aspettative prigioniero delle vecchie logiche di schieramento, prima per l’eterogeneità della compagine di maggioranza di sinistra e ora per un insufficiente scrutinio da parte della destra dei pro e dei contro di decisioni affrettate, spesso confuse, mal preparate e peggio comunicate oppure dettate, come nel caso del legittimo impedimento, da esigenze tutt’altro che urgenti e di interesse collettivo.

La sfida referendaria è l’ultimo atto, sperando che il quorum venga raggiunto, per dimostrare che i 17 anni di berlusconismo – fa niente che il Cavaliere sia stato all’opposizione per circa 9 dei 17 dell’intero periodo – sono ripudiati o rifiutati dalla maggioranza dei cittadini italiani, pentiti e non. Manca solo che si aggiunga un referendum sulla presenza di Michele Santoro nella TV di Stato a rendere ancora più completa l’onda referendaria antiberlusconiana...

Ma poi che si fa? Le attese create nell’opinione pubblica rischiano di essere fuori posto se ci si appiglia al sortilegio referendario senza nessuna garanzia che da esso scaturisca un riformismo dal basso, consapevole dei problemi, pronto ad accettare tutte le conseguenze delle scelte incentivate o rifiutate dal responso plebiscitario. Gli interrogativi sul dopo vengono lasciati sospesi nell’ aria o nell’ ombra, come se non esistessero, dai costi della politica energetica se si rinuncia al nucleare, alla privatizzazione dei servizi pubblici locali messa in gioco dal referendum sull’acqua pubblica, al legittimo impedimento inventato da Berlusconi e dai suoi cortigiani per proteggere il presidente del consiglio in carica che può essere sì affossato ma senza che per questo venga risolto il problema ( non inventato) dell’enorme capacità di interdizione del potere giudiziario sulle scelte politiche dei governi, siano essi di destra o di sinistra.

Il popolo è sovrano e può decidere quel che vuole, lo dicono tutti, ed a maggior ragione deve dirlo chi come Berlusconi è attento più ai sondaggi che a governare, tanto poi, che si raggiunga o meno il quorum, un rimedio propagandistico si può sempre trovare. Forse è per questo che il partito di maggioranza ha temporaneamente messo in sordina il pilota automatico della propaganda dei Danieli , da Daniele Capezzone a Daniela Santanchè. Poi si vedrà, le batterie sono sempre pronte ad aggiustare il tiro sugli avversari del Cavaliere che, c’è da scommettere, se i referendum dovessero avere successo, aumenteranno in maniera esponenziale.

Arrivare ai referendum per decidere o non decidere è già una sconfitta della politica e del governo. Ma intanto resteranno sullo sfondo i misteri d’Italia, gli interrogativi irrisolti che nessun referendum potrà chiarire o risolvere, il perché non si dice che dopo Fukushima le nuove centrali nucleari andrebbero riviste in un contesto europeo tenuto conto dei Paesi che sono intenzionati a rinunciarvi e di quelli che invece continueranno a rifornirci (fino a quando?), che l’acqua deve restare un bene pubblico o comune ma andrebbero commissariate dallo Stato, non dalle Regioni, le gestioni che ne fanno perdere grosse quantità nel trasporto ( quasi il 50%?, nessuno lo sa), che la privatizzazione dell’acqua può sì fare aumentare l’ efficienza ma anche le tariffe necessarie a ripagare gli investimenti. E’ già successi con le passate privatizzazioni che non hanno certo diminuito i costi dei servizi per i consumatori.

Su altri fronti non ci sono referendum in vista e ce ne vorrebbero fin troppi per proporre più che per abrogare. Resta ancora inspiegabile il perché i processi civili e penali che interessano la maggioranza degli italiani- altro che legittimo impedimento!- continuino ad essere così lenti da disincentivare enormemente gli investimenti dall’estero e nessuno può farci nulla o il perché, tanto per fare un altro esempio, i fondi strutturali europei a vantaggio delle zone disagiate del nostro Paese non vengono sfruttati e utilizzati oltre il 20% e via elencando. In assenza della politica quanti referendum dovremmo fare se non altro per segnalare le situazioni più insostenibili e quanti Di Pietro alla rovescia ci vorrebbero per andare avanti e fermare il declino? E invece si continua a fare e disfare (a parole) fino ad utilizzare i referendum come arma politica da quorum per l’ennesima ordalia tra le fazioni contrapposte di un bipolarismo con la bava alla bocca. Il risultato sarà ancora una volta lo stesso. Resteremo immancabilmente fermi e divisi.

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