Facciamo chiarezza sui quattro quesiti
Referendum contro natura
Tre sono contro l'ambiente, uno contro Silvio Berlusconidi Davide Giacalone - 03 giugno 2011
Tre referendum sono contro l’ambiente, uno è contro Silvio Berlusconi.
Quest’ultimo se lo merita, secondo i suoi avversari, ma la natura che ha fatto di male? Eppure uno stormo di demagoghi s’è alzato in volo e tenta di truffare gli elettori, confondendo loro le idee.
A scanso d’equivoci: quelli che vogliono far restare le cose come sono, quelli affezionati all’acqua che si spreca e all’assenza di depuratori, quelli che vogliono un Paese che compra all’estero energia elettrica prodotta con il nucleare, sono i sostenitori del Sì. Mentre quei disgraziati che sostengono il No, se esistono, pretendono che l’Italia cambi e diventi un Paese come gli altri, ma s’illudono che a poterlo fare sia quello stesso legislatore che neanche difende le proprie leggi.
Due quesiti riguardano l’acqua, che nessuno ha mai né pensato né proposto di privatizzare. Qui la turlupinatura raggiunge livelli stratosferici. Posto che fonti e acquedotti, quindi l’acqua, rimangono beni pubblici, si tratta di chiamare il mercato, quindi i privati, ad investire perché quel bene non vada sprecato. Per riportare alla civiltà, e al rispetto dell’ambiente, il nostro sistema idrico servono investimenti rilevanti, nell’ordine di 60 miliardi. Posto che non possono essere investimenti pubblici, per le note ragioni dell’indebitamente statale, o ce li mettono i privati o nisba. Quindi, se passa il referendum ci teniamo l’acqua che esce dai tubi prima di arrivare nelle nostre case, quindi la devastazione ambientale e la sua perdita di qualità.
L’altro quesito è sulle tariffe, volendo impedire che nel fissarle si debba tenere conto della remunerazione dei capitali investiti. Bella roba, allora ci teniamo i soldi pubblici sprecati, le municipalizzate i cui amministratori e dirigenti si fanno pagare come se avessero scoperto quella calda, di acqua, le aziende pubbliche che fanno assunzioni clientelari e ci teniamo pure quei quattro fessi che prima si lamentano, poi impediscono che si cambi, quindi tornano a lamentare gli sprechi. Sono loro, quelli del Sì, i tutori degli sprechi.
Col referendum nucleare c’impediamo di fare un piano energetico. Giusto, a che serve? Tanto si annuncia il ritorno al nucleare e non lo si fa mai. In cambio, ove non si voglia far funzionare la lavatrice a pedali, o pagare l’energia più dei panni che ci mettiamo dentro, facciamo qualche bella centrale a carbone, continuiamo a bruciare petrolio e incentiviamo eolico e solare pagandoli il doppio di quel che producono. Emettiamo una bella paccata di gas serra e li difendiamo con il sole che ride. De che? Nel frattempo continuiamo a comprare energia nucleare dai francesi e ci diamo di gomito, con aria allocca, quando tedeschi e svizzeri annunciano la chiusura delle loro centrali. Come se chi cambia bicicletta, e intanto vince il tour della competitività, fosse paragonabile a chi non ci sa andare.
Tutte queste cose le conoscono benissimo anche a sinistra. I Bersani, i D’Alema, i Veltroni e compagnia cantante ne sono perfettamente consapevoli. Tanto è vero che quando governavano si mossero esattamente nella direzione delle leggi che, ora, vogliono abrogare. Ma gli tocca far la parte di quelli che credono si stia privatizzando l’acqua o che in una centrale italiana si possa fondere il nocciolo (oltre al cervello di chi lo dice), e gli tocca perché così impongono i loro alleati, oramai dominatori. La gran classe di professionisti, i gran dirigenti allevati alla dura scuola e alla severa disciplina del Partito Comunista Italiano, sono finiti al guinzaglio di quattro descamisados latranti.
Non dimentichiamoci dell’ultimo referendum, quello sul legittimo impedimento. Quelli della vecchia sinistra non parlano, per vergogna, ma quelli di questa destra non leggono, per prudenza. Quando si discusse quella legge, inutile, avvertimmo sui suoi rischi e sulla sua mancanza di pregi. Niente, come parlare con il muro. Vigente la legge, Berlusconi non solo ha dovuto piegarsi ai processi, ma ha anche inaugurato quelli del lunedì. Ciò non toglie che l’abrogazione sarebbe uno sganassone in pieno volto. E, come si sa, il setto nasale è già provato e smoccia sangue.
Riassumendo: i referendum sono contro l’ambiente; la sinistra è costretta a sostenerli, pur convinta del contrario, perché altrimenti viene incenerita da alleati prepotenti e vincenti; la destra non ha neanche il coraggio di difendere quel che ha fatto e se la cava con una roba, la libertà di coscienza, che non si sa se fa ridere o piangere; in quanto al quarto referendum l’unica salvezza, per chi votò la legge, sarebbe la mancanza del quorum. In compenso s’è raggiunto un bel risultato bipartisan: la vergogna.
Pubblicato da Libero
A scanso d’equivoci: quelli che vogliono far restare le cose come sono, quelli affezionati all’acqua che si spreca e all’assenza di depuratori, quelli che vogliono un Paese che compra all’estero energia elettrica prodotta con il nucleare, sono i sostenitori del Sì. Mentre quei disgraziati che sostengono il No, se esistono, pretendono che l’Italia cambi e diventi un Paese come gli altri, ma s’illudono che a poterlo fare sia quello stesso legislatore che neanche difende le proprie leggi.
Due quesiti riguardano l’acqua, che nessuno ha mai né pensato né proposto di privatizzare. Qui la turlupinatura raggiunge livelli stratosferici. Posto che fonti e acquedotti, quindi l’acqua, rimangono beni pubblici, si tratta di chiamare il mercato, quindi i privati, ad investire perché quel bene non vada sprecato. Per riportare alla civiltà, e al rispetto dell’ambiente, il nostro sistema idrico servono investimenti rilevanti, nell’ordine di 60 miliardi. Posto che non possono essere investimenti pubblici, per le note ragioni dell’indebitamente statale, o ce li mettono i privati o nisba. Quindi, se passa il referendum ci teniamo l’acqua che esce dai tubi prima di arrivare nelle nostre case, quindi la devastazione ambientale e la sua perdita di qualità.
L’altro quesito è sulle tariffe, volendo impedire che nel fissarle si debba tenere conto della remunerazione dei capitali investiti. Bella roba, allora ci teniamo i soldi pubblici sprecati, le municipalizzate i cui amministratori e dirigenti si fanno pagare come se avessero scoperto quella calda, di acqua, le aziende pubbliche che fanno assunzioni clientelari e ci teniamo pure quei quattro fessi che prima si lamentano, poi impediscono che si cambi, quindi tornano a lamentare gli sprechi. Sono loro, quelli del Sì, i tutori degli sprechi.
Col referendum nucleare c’impediamo di fare un piano energetico. Giusto, a che serve? Tanto si annuncia il ritorno al nucleare e non lo si fa mai. In cambio, ove non si voglia far funzionare la lavatrice a pedali, o pagare l’energia più dei panni che ci mettiamo dentro, facciamo qualche bella centrale a carbone, continuiamo a bruciare petrolio e incentiviamo eolico e solare pagandoli il doppio di quel che producono. Emettiamo una bella paccata di gas serra e li difendiamo con il sole che ride. De che? Nel frattempo continuiamo a comprare energia nucleare dai francesi e ci diamo di gomito, con aria allocca, quando tedeschi e svizzeri annunciano la chiusura delle loro centrali. Come se chi cambia bicicletta, e intanto vince il tour della competitività, fosse paragonabile a chi non ci sa andare.
Tutte queste cose le conoscono benissimo anche a sinistra. I Bersani, i D’Alema, i Veltroni e compagnia cantante ne sono perfettamente consapevoli. Tanto è vero che quando governavano si mossero esattamente nella direzione delle leggi che, ora, vogliono abrogare. Ma gli tocca far la parte di quelli che credono si stia privatizzando l’acqua o che in una centrale italiana si possa fondere il nocciolo (oltre al cervello di chi lo dice), e gli tocca perché così impongono i loro alleati, oramai dominatori. La gran classe di professionisti, i gran dirigenti allevati alla dura scuola e alla severa disciplina del Partito Comunista Italiano, sono finiti al guinzaglio di quattro descamisados latranti.
Non dimentichiamoci dell’ultimo referendum, quello sul legittimo impedimento. Quelli della vecchia sinistra non parlano, per vergogna, ma quelli di questa destra non leggono, per prudenza. Quando si discusse quella legge, inutile, avvertimmo sui suoi rischi e sulla sua mancanza di pregi. Niente, come parlare con il muro. Vigente la legge, Berlusconi non solo ha dovuto piegarsi ai processi, ma ha anche inaugurato quelli del lunedì. Ciò non toglie che l’abrogazione sarebbe uno sganassone in pieno volto. E, come si sa, il setto nasale è già provato e smoccia sangue.
Riassumendo: i referendum sono contro l’ambiente; la sinistra è costretta a sostenerli, pur convinta del contrario, perché altrimenti viene incenerita da alleati prepotenti e vincenti; la destra non ha neanche il coraggio di difendere quel che ha fatto e se la cava con una roba, la libertà di coscienza, che non si sa se fa ridere o piangere; in quanto al quarto referendum l’unica salvezza, per chi votò la legge, sarebbe la mancanza del quorum. In compenso s’è raggiunto un bel risultato bipartisan: la vergogna.
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L'EDITORIALE
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Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.