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Perplessità sull’ultimo Dpef della legislatura

Realismo con troppe incognite

Spinto da Bruxelles, Siniscalco ammette la recessione, ma non dice come la affronterà

di Enrico Cisnetto - 06 luglio 2005

Ammesso che serva a qualcosa – da anni è solo un libro dei sogni, puntualmente svaniti con la Finanziaria successiva e le manovre correttive – il Dpef proposto ieri dal Tesoro al governo, ha almeno il pregio di essere sufficientemente realistico. Dice con schiettezza che la crescita quest’anno sarà pari a zero (chiedergli che prevedesse la recessione, come purtroppo sarà, sarebbe stato troppo) e che, di conseguenza, il rapporto deficit-pil salirà al 4,3%. Ammette, soprattutto, che il debito pubblico salirà al 108,2%, invertendo la tendenza a decrescere per la prima volta da quando, a metà degli anni Novanta, è stato avviato il processo di risanamento. Poi, ovviamente, ipotizza positive inversioni di tendenza per i due anni successivi, dal ritorno alla crescita (+1,5% per 2006 e 2007) al riaggiustamento del deficit (3,8% e 2,8%) e debito (107,4% e 105,2%) rispetto al pil. Complessivamente, nei confronti degli anni passati, va registrata una maggiore cautela nel maneggiare i numeri, probabilmente figlia del fatto che il documento di programmazione economica e finanziaria è stato scritto dal ministro Siniscalco “d’intesa” con la Commissione europea (ed è bene che sia così). Ciò non toglie che tra questo sano realismo e la realtà ci possano essere ancora rilevanti discrepanze: siamo sicuri che il gettito fiscale previsto si rivelerà fondato, o non ci sarà come sempre negli ultimi anni una qualche differenza? Sbagliano coloro che prevedono in 10 miliardi lo scarto tra attese ed effetti del “tetto del 2%" sulle spese, la cosiddetta Gordon Brown all’italiana? E se la manovra, come poi vedremo, si basa prevalentemente sul taglio dell’Irap, si può realisticamente pensare che la sua copertura (circa 10 miliardi) possa davvero arrivare dalla lotta all’evasione fiscale (ammesso che si faccia, darà risultati nel medio periodo) e dal taglio delle spese improduttive? Si tratta di impegni sempre presi e mai rispettati, tanto che l’avanzo primario, cioè il rapporto tra entrate ed uscite al netto degli interessi sul debito, si è quasi azzerato.

E veniamo alle scelte di politica economica, che poi dovranno essere tradotte nella Finanziaria. Qui, a parte che il Dpef risente del marcamento stretto di Bruxelles su Siniscalco e dunque è più attento al risanamento finanziario che allo sviluppo, le idee sono poche e per di più confuse. Si diceva il taglio dell’Irap: bene, ma a parte i problemi di copertura finanziaria, non sappiamo ancora chi ne beneficerà – si avrà il coraggio di farlo selettivo? – e in che contesto di politica industriale sarà calato. In secondo luogo, il Dpef indica nella riduzione del cuneo contributivo, che impoverisce le buste paga ma le rende “pesanti” per le imprese, l’altra area di intervento. Giusto, specie dopo la inutile (anche elettoralmente) e costosa sbornia dei tagli all’Irpef. Ma a parte le modalità che non si conoscono – e qui i dettagli sono tutto – va detto che per rendere l’intervento un minimo significativo occorre che sia di almeno una decina di miliardi, e anche in questo caso si porrà il problema della copertura. Se a tutto questo si aggiunge il fatto che, more solito, la maggioranza mostra di avere idee diverse sulle cose da fare, o in molti casi di non averne affatto, il risultato è che non si sbaglia ad immaginare che la strada tra la bozza di Dpef e l’approvazione finale della Finanziaria sarà assai lunga e decisamente impervia.

Pubblicato sul Messaggero del 6 luglio 2005

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