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Un'analisi critica del fenomeno

Ratzinger e la globalizzazione

La Chiesa colma un vuoto di iniziative della politica.Alla sinistra la risposta

di Angelo De Mattia - 09 gennaio 2008

E’ anche una campana che suona per il mondo laico l’omelia tenuta da Benedetto XVI nel giorno dell’Epifania. “La globalizzazione non è sinonimo di ordine mondiale, tutt’altro”. “I conflitti per la supremazia economica… rendono difficile il lavoro di quanti si sforzano di costruire un mondo giusto e solidale”. “C’è bisogno di una speranza più grande, che permetta di preferire il bene comune di tutti al lusso di pochi e alla miseria di molti”. Solo con un impegno per un’equa distribuzione della ricchezza, sarà possibile “instaurare un ordine di sviluppo giusto e sostenibile”. Sono, questi, alcuni dei concetti espressi dal Pontefice. Costituiscono un’analisi critica del fenomeno epocale della globalizzazione, fenomeno paragonabile all’invenzione della stampa o alla scoperta dell’America. Purtroppo, è un tema che oggi sembra affidato esclusivamente a qualche studioso, alle associazioni di volontariato e alla cattedra della Chiesa. Su di esso quasi si tace nello schieramento politico e, quel che qui interessa, si tace a sinistra dove dovrebbe esistere un più che naturale interesse per la comprensione e il possibile governo di tale fenomeno. Si dirà forse che altre oggi sembrano essere le urgenze e le priorità. Si dirà che preme un bisogno di concretezza e che, a volte, il tema della globalizzazione è sfiorato, con toni retorici, solo per mettersi a posto con la coscienza o a premessa di discorsi politici i cui contenuti distano poi mille miglia dall’iniziale “cappello”. Si dirà, ancora, a proposito dei richiami e degli appelli del papa, che potrebbe essere inopportuno renderli poi di parte, scegliendo fior da fiore (rispetto ad altre tematiche per le quali più complessa è la posizione della sinistra).

Se queste fossero le motivazioni di un atteggiamento che raggiunge l’indifferenza e al quale sembrano venir meno spinte ideali, si tratterebbe di ragioni deboli anche sul piano della concretezza, che non colgono la portata dell’economia globalizzata. Di che altro, infatti, sono espressione la propagazione della crisi dei mutui subprime o i riflessi a catena dell’aumento del prezzo del petrolio, o gli effetti della concorrenza dei paesi asiatici, per non dire della straordinaria vicenda delle migrazioni, se non delle interdipendenze del mondo economico globale? Possibile che delle condizioni di vita dei diseredati, del terzo mondo – dell’Africa, per esempio, così cara al capo del Partito Democratico – non si parli più nei documenti, nelle impostazioni politico-programmatiche e che i laici non avvertano in questo campo, che è quello della dignità della persona, ovunque essa sia, il grave ritardo che si consuma rispetto alla posizione della Chiesa cattolica e delle altre Chiese?

La Chiesa di Roma – con le posizioni su globalizzazione, economia, lavoro, ambiente ma, aggiungerei anche, sui temi eticamente sensibili per la parte in cui stenta l’elaborazione di anticipo da parte della politica – colma anche un vuoto di analisi e di iniziative. Certo, ha alle spalle una tradizione unica, irripetibile, che muove, per citare solo qualche aspetto, dalla fondazione del diritto internazionale con Francisco De Vitoria e giunge alle encicliche Rerum Novarum, Pacem in terris, Populorum progressio – la quale afferma che è lo sviluppo il nuovo nome della pace – Centesimus annuus e alle pure globali iniziative concrete del mondo cattolico in questo campo. Ma, a confronto, sorprende l’impasse laico e degli stessi movimenti che si erano posti l’obiettivo del governo consapevole degli aspetti più rilevanti della globalizzazione, che si manifesta nei commerci, nella finanza, nelle popolazioni (con le migrazioni). L’internazionalismo di un tempo, nelle forme in cui è stato parte di una ideologia superata dalla storia, non ha trovato alcun successore all’altezza delle trasformazioni intervenute. E l’obiettivo dell’austerità dei modi di vita – la moderazione, la sobrietà nelle parole del Pontefice – che ricorda le elaborazioni politiche e sindacali degli anni ’70, per uno sviluppo sostenibile e non certo in chiave pauperistica o savonaroliana, sembra ora decisamente consegnato agli archivi. Si è spenta tra i laici la possibilità di progettare l’avvenire, di aggregare intorno a valori che rappresentino la ragione ultima dell’esistere? Disconoscere le interdipendenze, ipotizzare un’economia senza solidarietà, scimmiottare le tesi estreme dei mercatisti a ogni costo, significa preparare un futuro non certo esaltante. Andrebbe, invece, riscoperto il tema di un nuovo ordine economico internazionale. E disciplinati i cosiddetti beni pubblici globali, ai quali tutti hanno diritto di accedere, essendo fondamentali per la vita dell’uomo. I progetti di riforma del Fondo monetario internazionale e della Banca Mondiale, per gli equilibri macroeconomici degli Stati e per la lotta alla povertà, non dovrebbero essere lasciati ai soli tecnici di questi organismi. I governi e i parlamenti ne dovrebbero essere investiti. Spesso si è parlato, per la disciplina dei rapporti internazionali, di una nuova Bretton Woods. Occorrerebbe dare un ruolo effettivo a organismi come il G.7, il G.10. Certo, sono necessarie volontà politiche. Ma proporre con decisione la definizione di una nuova architettura internazionale sarebbe già un passo importante. Non è un insegnamento che scaturisce anche dal successo della battaglia per la moratoria della pena di morte? Tutto ciò implica, però, un coinvolgimento ampio di risorse intellettuali, di iniziative, di collaborazioni strette, di integrazione tra cattolici e laici, tra azioni della Chiesa e azioni degli Stati. E richiede un risveglio, su queste tematiche, della sinistra che ha il dovere – non osservando il quale perde un fondamentale, storico tratto distintivo – di tornare ad essere forza propulsiva.

pubblicato da L"Unità di martedì 8 gennaio

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