ultimora
Public Policy
  • Home » 
  • Archivio » 
  • Rampini: la Cina sarà una società aperta

L’intervista all’autore del Secolo cinese

Rampini: la Cina sarà una società aperta

Democrazia possibile, accenni di conquiste sociali e la rivoluzione della comunicazione

di Antonio Picasso e Alessandro Marchetti - 06 giugno 2005

Terza repubblica: “Quando la Cina si sveglierà, il mondo tremerà”, questo il napoleonico incipit del nuovo libro di Federico Rampini, Il secolo cinese, (Mondatori). E adesso il colosso asiatico si sta veramente svegliando, è possibile azzardare una classifica su chi tremerà per primo. Il Giappone, tanto vicino e sempre ai ferri corti con il suo dirimpettaio; l’Europa, che ha mostrato tutta la sua debolezza con il doppio rifiuto, francese e olandese, della sua Costituzione e, inoltre, arranca sul fronte economico; oppure gli Stati Uniti, che pagano un deficit commerciale enorme con Pechino?

Federico Rampini: A onor del vero, stanno già tremando tutti. Le preoccupazioni di Tokyo poggiano sul riarmo militare cinese, sulle contese territoriali mai risolte (le isole vicine ai giacimenti petroliferi sottomarini) e sul risorgente nazionalismo di Pechino, al quale il Giappone risponde pan per focaccia. L’Europa trema per l’invasione del made in China e per le delocalizzazioni delle imprese che trasferiscono posti di lavoro in Asia. Gli Stati Uniti, infine, per tutti questi motivi messi assieme. Tensioni protezionistiche, invasione dei prodotti cinesi, delocalizzazioni e la contemporanea ascesa di un rivale strategico, che sarà presto capace di mettere in discussione il ruolo di superpotenza egemone di Washington. E il recente rapporto del Pentagono sul rafforzamento militare cinese e il discorso di Rumsfeld a Singapore sono segnali eloquenti.

Tr: Nel suo libro si entra in contatto con le grandi metropoli cinesi (Pechino, Honk Hong, Shangai). Quale tra queste può vantare di essere la città simbolo del boom economico del Paese? Senza contare Hong Kong, vista la sua particolare condizione di colonia britannica, fino al 1997. FR: Sicuramente Shanghai, la New York d’Oriente, che con la Grande mela ha molte cose in comune, oltre all’orizzonte di grattacieli: per esempio il carattere cosmopolita. Shanghai rappresenta il boom con tutti i suoi eccessi, compreso il timore che una bolla speculativa nel settore immobiliare possa scoppiare con danni gravi per la crescita del paese.

Tr: L’espansione illimitata del made in China e la violazione dei diritti umani (soprattutto sul lavoro), sono le due facce contrastanti di una sola medaglia. Si può fare, tuttavia, un paragone con l’Inghilterra della Rivoluzione industriale, quando le condizioni degli operai rasentavano la schiavitù, ma che, successivamente, si evolsero con importanti conquiste sociali? Pensa che potrà succedere lo stesso anche in Cina? FR: Sì, lo sviluppo economico cinese sarà accompagnato dalle conquiste sociali, che, in realtà, sono già individuabili. Nelle zone di maggiore crescita, in particolare nel Guangdong, la regione meridionale con la massima concentrazione industriale del Paese, il mercato del lavoro sta cominciando a registrare penurie di certi tipi di manodopera (alcune categorie di operai qualificati), fenomeno che è causa di rivendicazioni salariali, per le quali i padroni sono costretti ad alzare le retribuzioni. È anche vero, però, che manca un vero sindacato operaio, come fu Solidarnosc in Polonia, perché il regime lo proibisce.

Tr: L’India è una democrazia a tutti gli effetti, ed è questa una delle poche eredità positive del colonialismo. La Russia, a sua volta, anch’essa sterminato colosso mondiale, non ha vissuto l’esperienza della sottomissione di un paese straniero e oggi, dopo decenni di regime, vive con difficoltà e intoppi il proprio sviluppo democratico. La Cina, invece, ha le carte in regola per diventare una democrazia? “

La Cina è più sviluppata economicamente della Russia e con livelli di alfabetizzazione migliori dell’India. La democrazia è ben lungi dall’essere perfetta sia in India che in Russia, ma nessun regime di questo tipo è perfetto. La Cina ha una società civile che potrebbe sicuramente esprimere un dibattito politico pluralistico, con un’opposizione, permettersi una stampa libera ed eleggere i propri governanti. Quindi non c’è nessun determinismo storico che impedisca la democrazia in Cina, che, del resto, visse un esperimento democratico agli inizi del secolo scorso. L’unica ragione per cui a Pechino resiste la dittatura, che mette in prigione i dissidenti e i giornalisti liberi, è che la nomenklatura comunista si aggrappa al suo potere.

Tr: Ciò che sta accadendo è una seconda rivoluzione culturale?

FR: Penso che il termine sia ambiguo e si presti a interpretazioni opposte. Quella che fu battezzata così da Mao Zedong, dal 1966 al 1975, fu un’ondata di estremismo radicale, intolleranza, fanatismo e persecuzioni. Oggi, al contrario, esiste una ricca e vitale fioritura della creatività culturale cinese in molti campi, dal cinema alla letteratura, dalla pittura alla scultura d’avanguardia. E’ in atto, poi, un altro tipo di rivoluzione culturale, vissuta da oltre 100 milioni di cinesi che hanno l’accesso a Internet, i telefonini, la possibilità di viaggiare all’estero. Cose, queste, che a noi possono sembrare scontate, ma non lo sono in un Paese che è rimasto chiuso e isolato per decenni. Questa rivoluzione della comunicazione sta seminando i germi di una società sempre più aperta, ricca di libertà individuali, e quindi matura anche per le libertà politiche”.

Social feed




documenti

Test

chi siamo

Terza Repubblica è il quotidiano online fondato e diretto da Enrico Cisnetto nato nel 2005 dall'esperienza di Società Aperta con l'obiettivo di creare uno spazio di commento indipendente e fuori dal coro sul contesto politico-economico del paese.