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Public Policy

L'editoriale di TerzaRepubblica

Questo Parlamento è finito

La sentenza della Consulta mette una pietra tombale sulla legislatura e (purtroppo) rende necessarie le elezioni

07 dicembre 2013

La legislatura è finita. Si può girarci intorno quanto si vuole, dirci che formalmente il Parlamento non è delegittimato (vero) e sostenere che l’autonomia della politica è salva (falso), ma è del tutto evidente che la decisione Corte Costituzionale di cancellare con un tratto di penna – politicamente salutare, semmai tardivo e per questo discutibile – la legge elettorale vigente segna nei fatti la fine di questo mandato parlamentare.

Come sarebbe accaduto se la politica avesse fatto motu proprio una nuova legge elettorale: qualsiasi Parlamento del mondo di fronte alla scelta di un sistema di conteggio dei voti diverso da quello che è stato usato per formarlo, si scioglie e manda il paese ad elezioni. In questo caso, a maggior ragione, visto che a cancellare la legge elettorale è intervenuta una magistratura. E poco importa se, come sembra – ma bisognerà attendere la sentenza per capirlo meglio – la censura costituzionale non è retroattiva ma s’intende applicabile al futuro. Deputati e senatori saranno anche “non delegittimati” sul piano giuridico, ma lo sono sul piano politico. E se la politica vuole tentare di recuperare un minimo di decenza non può che fare due cose: votare una legge elettorale che sani la cesura e le restituisca il diritto di decidere su una materia così decisiva, e poi chiamare gli italiani alle urne.

Ma come, diranno i più affezionati lettori di TerzaRepubblica che conoscono la nostra avversione verso le elezioni anticipate, siete diventati anche voi, come Renzi, Grillo e Berlusconi, dei fautori del voto subito? Non avevate detto che il governo Letta, pur deludente, doveva continuare il suo cammino? Vero, noi siamo stati e continuiamo ad essere contrari al voto. Ma ci sono dei passaggi, nella vita di un paese, che sono obbligati, ineludibili. La nostra principale preoccupazione – da sempre, ma ancor di più negli ultimi due disgraziati decenni – è quella di salvaguardare la centralità della politica, convinti come siamo che in una democrazia occidentale o è la politica che riesce a dare risposte ai bisogni dei cittadini e del paese nel suo insieme, o quelle risposte non potrà darle nessuno. Poi può darsi che di risposte ne dia tante e buone o, come è avvenuto nella Seconda Repubblica, poche e cattive, ma senza Politica (con la maiuscola) la partita è persa in partenza. È per questo che pur avendo giudicato con ferocia il bipolarismo di questi anni non abbiamo mai cavalcato, anzi, la marea montante dell’anti-politica, ed è per questo che ciò che più temiamo del declino italiano è lo scadimento della politica e il suo progressivo svuotamento. Ecco perché siamo, nostro malgrado, per voltare pagina. Di fronte ad un evento traumatico come l’intervento della Consulta, che appare di portata ben maggiore della cancellazione di una legge vergognosa perché sancisce la morte di un ceto politico peraltro già zombie di suo, perché bolla l’infamia di un premio di maggioranza senza eguali nel mondo democratico e perché condanna un governo e un parlamento che non hanno saputo mantenere la promessa d’intervenire prima che la sentenza della Corte sancisse la loro incapacità a legiferare, non si può tirare avanti facendo finta di niente. Non prenderne atto significherebbe condannare a morte la politica, toglierle quella credibilità teorica senza la quale si spalancano le porte al populismo e alla rottura democratica. A tutto c’è un limite: si può tollerare la continuità di un governo inadeguato, non si può chiudere gli occhi di fronte alla delegittimazione sostanziale di un Parlamento ad opera della magistratura costituzionale.

Siamo consci della gravità delle nostre parole e, soprattutto, delle conseguenze. Non è cambiata, infatti, la valutazione che in questa sede vi abbiamo proposto in questi mesi: prima di andare alle elezioni occorre che vada fino in fondo il processo di consunzione e frantumazione delle forze politiche, ormai prive di ogni residua credibilità agli occhi degli italiani, e si formino nuovi soggetti e nuove aggregazioni, con leadership rinnovate, altrimenti dovranno essere gli elettori a pensarci, e non potranno che farlo a ricorrendo in modo massiccio all’astensionismo o votando per forze anti-sistema come i 5stelle di Grillo. Ma siccome questo significherebbe rendere ingovernabile il Paese, meglio, molto meglio, che al lavoro di distruzione dei cittadini si anteponga il lavoro di autodistruzione delle forze politiche attuali. La spaccatura dentro il Pdl ha sancito l’inizio di questo processo, è sperabile che ora lo stesso accada nel Pd. E il Renzi bipolarista che si accinge a diventare segretario ma si trova spiazzato dalla Consulta che ha spazzato via ogni rimasuglio di maggioritario sembra essere la premessa per nuovi rivolgimenti. Favoriti anche dalla scelta, di per sé dividente, che si dovrà fare di una legge elettorale che aiuti a costruire un nuovo sistema politico.

Solo che il tempo è breve. Perché Governo e Parlamento sono di fronte ad un bivio: se rinviano ancora il varo della legge elettorale, perdono ulteriori quote della residua credibilità, e rischiano di essere travolti dalla piazza; se fanno la nuova legge, aprono le porte alle elezioni. Insomma, comunque vada, le urne si fanno più prossime e, ahinoi, necessarie. Chi vuole uscirne vivo deve sapere che oggi ha una piccola finestra temporale per reinventarsi (come giustamente Stefano Folli chiede a Renzi di fare). Altrimenti ci penserà il Paese “sciapo e infelice” (la nuova definizione dell’Italia data dal Censis), e saranno dolori per tutti.

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