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Public Policy

Verso nuove forme di democrazia

Quella voglia di partecipazione

La gente vuole contare di più nelle scelte politiche, ma le regole sono da inventare

di Donato Speroni - 19 ottobre 2005

C’è in giro una nuova voglia di partecipazione politica. Questo è il messaggio che scaturisce dalle primarie dell’Unione di domenica scorsa, questa l’interpretazione sulla quale convergono gran parte dei commentatori.

Sulle modalità di scelta del candidato del centrosinistra si può anche discutere. Il meccanismo elettorale era tutt’altro che perfetto, l’idea stessa di scegliere il candidato attraverso un voto aperto a tutti, con il dubbio filtro di una formale adesione al programma e di un piccolo versamento, si presta a molte critiche, come è stato scritto più volte. Però la gente questo evento l’ha preso sul serio, eccome. E in molti adesso riflettono.

Prendiamo per esempio Rossana Rossanda, la mamma del Manifesto. Coraggiosamente ha riconosciuto in un commento il suo errore di valutazione sulla natura della domanda di partecipazione che non è più “diretta”, come è sempre stato per i movimenti che sono nati dal ’68, ma “elettorale”, cioè interna ai meccanismi delle istituzioni. Insomma, il movimentismo sembra aver esaurito la sua spinta propulsiva, ma l’alternativa non è la disaffezione, come la sinistra estrema ha sempre temuto, bensì la partecipazione alla politica.

Altrettanto autocritico il Foglio, in un editoriale non firmato dal titolo eloquente: “Capire le primarie”. Esiste una domanda di partecipazione politica a cui i partiti non riescono a dare una risposta. Né quelli che “hanno conservato la struttura della Prima Repubblica e fanno pesare rituali obsoleti e burocratici”, né quelli che “puntavano a essere leggeri e intermittenti e che rischiano invece di apparire evanescenti. L’illusione di sostituire forme concrete di rapporto di massa con le inchieste demoscopiche e l’influenza mediatica si è dimostrata scarsamente efficace”. Queste parole sono un colpo al cuore al modo di far politica di Forza Italia; secondo Stefano Folli Berlusconi le ha lette e ci ha meditato sopra. Ma per il commentatore del Sole 24Ore i suoi metodi sono di colpo diventati obsoleti.

Forse il centrodestra lancerà un referendum sul programma, ma non è questo, primarie o referendum, il punto che ci interessa. Il problema più generale è quello di non sprecare la voglia di partecipazione dei cittadini. Bisogna però essere chiari. Così come è sempre sbagliato l’assemblearismo (nel quale prevale chi strilla di più o ha un’oratoria più seduttiva) è altrettanto sbagliato pensare di poter prendere decisioni complesse attraverso forme di democrazia diretta. Una cosa è scegliere un leader, altra cosa determinare un programma attraverso gli schematismi di una tornata elettorale. Le scelte politiche sono complesse, difficilmente sintetizzabili nelle forme di un voto di massa. Anche nelle sperimentazioni fatte su piccole comunità informatizzate, dove la gente poteva esprimere la propria opinione per via telematica da casa, si è visto che le scelte così ottenute non erano necessariamente le migliori, perché frutto di informazione frettolosa e superficiale.

D’altra parte la gente vuole contare, ha mediamente più notizie e cultura che in passato e non si accontenta di una delega pluriennale all’eletto di turno. Accade in tutti i paesi più avanzati, ma le forme in cui questo avverrà sono tutte da inventare. Per esempio un politologo americano, James Fishkin, ha proposto la “democrazia deliberativa”: un gruppo di persone, selezionate secondo criteri statistici per riflettere la struttura della società, viene informata dettagliatamente dai fautori delle diverse opzioni su una determinata questione e sulle possibili scelte. Al termine di questo processo il campione decide. Poi il gruppo rientra nei ranghi, senza creare una classe di politici professionisti. La possibilità di essere periodicamente tra i decisori appaga la voglia di partecipazione. Alcune sperimentazioni di sondaggi deliberativi sono state fatte con successo.

E’ solo un esempio della ricerca in corso. E’ ovviamente più facile fare esperimenti in piccole comunità, su temi limitati, ma nulla impedisce anche ad un partito di provare tecniche nuove. Perché una cosa certa: nel ventunesimo secolo, le forme di democrazia che abbiamo conservato immutate per più di duecento anni cambieranno profondamente, sulla spinta del livellamento culturale, che significa voglia di partecipare ma anche superficialità di conoscenza, e con l’aiuto delle nuove tecnologie. Quello che abbiamo visto domenica è solo un primo segnale, per l’Italia, di questa voglia di cambiamento.

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